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Dunque, mi sono vista Jeanne d’Arc di Carl Theodor Dreyer,  disponibile in versione integrale su YouTube con sottotitoli in italiano, basta premere il bottoncino “sottotitoli” nella barra comandi in basso.

Completamente muto, non vi è nemmeno un commento sonoro, e per scelta precisa del regista.
Per raccontarne i meriti, rimando a Wikipedia, paragrafo Critica, sono completamente d’accordo con quanto scritto (e chapeau all’autore del pezzo). Viene anche spiegato perché non ci sono commenti sonori di alcun tipo.

La visione vale assolutamente la pena, pur con le inevitabili difficoltà: è una pellicola che ha tempi e modi che possono risultare difficili per uno spettatore odierno, ma proprio per questo la visione è per me stata veramente affascinante.
Il contesto in cui si svolge il processo, collocato fuori dallo spazio e dal tempo, genera angoscia e “disturba”, ma allo stesso tempo avvince e coinvolge emotivamente, e dopo poco ci si trova a essere contenti che non vi siano colonne sonore o altre interferenze a disturbare la visione.

Certe scene mi hanno richiamato il fastidio, il senso di ansia e rigetto che mi comunicarono due film molto diversi fra loro:
–   L’occhio che uccide (Peeping Tom, 1960), la storia di un operatore di cinepresa, dalla psiche decisamente disturbata, che salda un pugnale sul treppiedi e filma le sue vittime mentre, letteralmente, le impala. Ad un certo punto del film, il protagonista mostra (controvoglia, e perché molto sollecitato) ad una giovane vicina i filmini in superotto che il padre (uno scienziato a sua volta non del tutto sano di mente) girava su di lui per documentarne le reazioni mentre lo spaventava a morte con ragni e altre efferatezze. Ecco, le riprese del protagonista bambino in qualche modo mi hanno dato la stessa sensazione di angoscia.

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–   Ringu, intendo l’originale giapponese del 1998, non lo scialbo rifacimento statunitense di qualche anno dopo.  Le immagini della fatidica cassetta erano per me altrettanto perturbanti.

ringu

Comunque, tornando a Jeanne d’Arc: da vedere, senz’altro. Gli ultimi venti minuti, poi, sono grande cinema, intendo in assoluto, anche fuori contesto.

gennaio 2016