Alcune chiusure memorabili. Ho tralasciato le più ovvie e sfruttate: “Domani è un altro giorno”… “Nessuno è perfetto” … “Dove andiamo, non servono strade”.
In nessun ordine particolare, le mie battute finali preferite sono queste.
Nota: Mi sono accorta solo in fondo che ho inserito Kubrik per ben tre volte e Dino Risi per due. Che ci posso fare. 


“Ci sono Ma’ !! Sulla vetta del mondo !”  Uno dei più grandi antieroi di sempre muore fanciullescamente in un delirio di fumo ed esplosioni, urlando alla madre ormai morta ma ancora idolatrata.
James Cagney è Cody in “La furia umana” (“White Heat”, Raoul Walsh, 1949)

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“Lascia perdere Jake. E’ Chinatown.”
Jack Nicholson è Jake “J.J.” Gittes in “Chinatown” (Roman Polanski, 1974)

chinatown


“Sai Louis… credo che questo sia l’inizio di una splendida amicizia.”
Humphrey Bogart è Rick Blaine in “Casablanca” (Michael Curtiz, 1942)

casablanca


“Si chiamava Roberto. Il cognome non lo so, l’ho conosciuto ieri mattina.” La forza di questo finale sta nella sua fulmineità. Una chiusura inaspettata eppure, sotto sotto, inevitabile.
Vittorio Gassman è Bruno Cortona ne “Il sorpasso” (Dino Risi, 1962). Nella prima stesura della sceneggiatura era Gassman a morire nell’incidente, e Trintignant a dire la frase di chiusura.

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“Alla fine sono felice di essere vivo, tutto d’un pezzo e prossimo al congedo. Vivo in un mondo di merda, questo sì. Ma sono vivo, e non ho più paura.” La frase, fuori campo, arriva poco prima della marcetta di Topolino intonata come un canto marziale e chiude questo iperrealistico capolavoro, secco come una frustata, e costruito in modo geometrico e impeccabile.
Matthew Modine è il marine Joker in “Full Metal Jacket” (Stanley Kubrick, 1987)

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“Oh, Jof. Tu con le tue visioni e i tuoi sogni…”
Bibi Andersson è Mia, la moglie del saltimbanco Jof ne “Il Settimo Sigillo” (“Det sjunde inseglet”, Ingmar Bergman, 1957)

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“Abbiamo perduto tutto”  “Sceriffo non esiste una cosa nella tua vita per la quale valga la pena perdere tutto?”  Tutto il film costruisce il mito del suo protagonista, il senso dell’avventura e del coraggio, e con una battuta finale anche la sconfitta è nobile e ardimentosa. Sean Connery è il capo berbero el-Raisuli ne “Il vento e il leone” (“The Wind and the Lion”, John Milius, 1975)

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“Una nuova casa e una nuova scuola. Chissà quanto sarai spaventata.”  “Credo di potercela fare.”  Il perfetto finale che spiega il film e quale fosse il senso di tutta l’avventura.
E’ la piccola protagonista Chihiro a chiudere “La città incantata” (Sen to Chihiro no kamikakushi,  letteralmente “La sparizione di Sen e Chihiro causata dai kami”, scritto e diretto da Hajao Miyazaki, 2001)la_citta_incantata


“Accatto’ checciai? Chette senti?”  “Ah…. Mo’ sto bene”.
Franco Citti (doppiato dal bravo Paolo Ferrari) è Vittorio Cataldi, detto Accattone, nell’omonimo film (Pier Paolo Pasolini, 1961). Accattone è un sottoproletario nella Roma sbrindellata del dopoguerra. Pasolini segue questo attore improvvisato (Citti veniva dalla strada) nelle sue giornate che si trascinano senza scopo, annegate nella gran luce del cielo romano; ne documenta gli atteggiamenti da sbruffone, gli abietti espedienti escogitati per campare, l’angosciante e premonitore sogno di morte. Alla fine la morte la incontra davvero, in uno stupido incidente mentre è in fuga dopo un furto. Con le sue ultime parole , finalmente pacificato, esprime il sollievo di evadere da una vita vuota, ma pesante come un fardello.
Uno dei suoi compagni di furto, ammanettato, si fa il segno della croce. La solenne musica di Bach (“La passione secondo Matteo”) innalza e purifica il momento, lo rende ieratico. Una vita umana – umile e tutt’altro che ben spesa, ma comunque sacra – si è spenta.


“Non c’è altro, solo noi e la macchina, e nell’oscurità il pubblico che guarda in silenzio. Eccomi De Mille, sono pronta per il mio primo piano.” Teatralissimo finale di un film sul cinema che diventa set nel set.
Gloria Swanson è Norma Desmond in “Viale del tramonto” (“Sunset Boulevard”, Billy Wilder, 1950)

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“Ero proprio sano!” Ossessionato dalla violenza, represso dal sistema, e infine catturato dalla politica, Alex non è cambiato ma è entrato nel sistema. Ora quindi, paradossalmente, è ‘sano’.
Malcolm McDowell è Alex in “Arancia Meccanica” (“A Clockwork Orange”, Stanley Kubrik, 1971). Una piccola curiosità sul titolo originale, che deriva da un modo di dire londinese “essere strano come un’arancia ad orologeria” per indicare qualcosa di bizzarro internamente, ma che appare normale e naturale in superficie.

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“Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li ha?”
Richard Dreyfuss è la voce narrante da adulto del protagonista adolescente, Gordie, in “Stand by me” (Rob Reiner, 1986)

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“Mein Führer! Io cammino!!” Subito prima del tripudio di atomiche c’è lo sberleffo finale, il nazismo mai morto, tradito dal folle Stranamore.
Peter Sellers è il protagonista de “Il dottor Stranamore” (“Dr. Strangelove”, Stanley Kubrik, 1964)

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“Emily, ho una cosa da confessarti. Sono davvero un veterinario, ma sposami e non guarderò mai più altri cavalli” C’è un’irriverenza unica nella maniera in cui i Marx sembravano non avere il minimo ritegno o rispetto per niente.
Groucho Marx è il dottor Hugo Hackenbush (un veterinario, appunto) in “Un giorno alle corse” (“A day at the races”, Sam Wood, 1937)

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“Ma… Silvio!?”  “Vallo a raccoje, va. Elena, andiamo!” Forse quella di Silvio (Alberto Sordi) e del suo ceffone è la rivincita più saporita di tutto il cinema italiano.
(“Una vita difficile”, Dino Risi, 1961)

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22 dicembre 2016