Il bagno è un luogo privato, anzi, forse il più privato, quello dove chiunque ha diritto a essere lasciato in pace per qualche minuto.
In molti film è però anche un luogo catartico: è dove succedono fatti cruciali, dove ci si apparta per riflettere, dove ci si incontra per parlare lontano da orecchie indiscrete.

Pulp Fiction (Quentin Tarantino, 1994)

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E’ il film dove, a mia memoria, i bagni si vedono più spesso, e rappresentano sempre momenti cruciali o di svolta nella vicenda (anzi, nelle tante vicende narrate in questa straordinaria pellicola). In ordine di apparizione:
– Mia (Uma Thurman), che è uscita a cena con Vincent (John Travolta) va nella toilette del Jack Rabbit Slim’s a “incipriarsi il naso” – in realtà a sniffare coca.

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Al suo ritorno ci sarà la famosa gara di twist (vedi l’articolo in questo blog per un altro punto di vista sulla scena).
– Dopo cena Mia e Vincent tornano a casa di lei. Vincent chiede di andare in bagno, ma in effetti ha bisogno di un momento di solitudine per decidere come comportarsi: è attratto da Mia, ma è la moglie del capo, e a parte il senso di lealtà Vincent sa bene cosa gli costerebbe una trasgressione. Al suo ritorno in salotto, però, la serata prende tutta un’altra piega: Mia ha scambiato per cocaina l’eroina trovata per caso nel cappotto di Vincent, l’ha sniffata ed è andata in overdose.

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– Quasi all’inizio del film Jules (Samuel Jackson) e Vincent freddano Brett e i suoi compagni per aver sottratto al loro capo Marsellus Wallace la famosa valigetta (a tale proposito vedi l’ultimo punto nell’articolo MacGuffin classici in questo blog). La scena viene abbandonata per dare spazio ad un’altra vicenda, in coerenza con la costruzione a intreccio del plot, per essere poi ripresa successivamente. Si scopre a quel punto che un quarto uomo della banda di Brett era nascosto in bagno: esce sparando all’impazzata, ma stranamente nessuna delle pallottole, pur sparate a distanza così ravvicinata, colpisce Jules e Vincent. Da quel momento Jules si convince di essere stato protagonista di un miracolo e decide di abbandonare la vita del malvivente per darsi all’ascetismo.
– Dopo che Vincent ha accidentalmente ucciso in auto Marvin, l’unico superstite della banda di Brett, lui e Jules si rifugiano a casa di Jimmy (Quentin Tarantino che, come Hitchcock, ama comparire in tutti i suoi film). Vanno a lavarsi le mani in bagno e cercano di concordare un modo per non infastidire troppo Jimmy, il quale però è già più che alterato. All’uscita dal bagno Jimmy pone loro l’aut-aut, e di lì a poco entra in scena mister Wolf (Harvey Keitel) a risolvere “la situazione Bonnie”.

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– Il pugile al tramonto Butch (Bruce Willis) torna nel suo appartamento per recuperare l’orologio del padre, un ricordo dal quale non vuole separarsi nella sua fuga dagli uomini di Marsellus. Trova sul ripiano della cucina un mitra, e lo prende in mano, perplesso. A quel punto si sente il rumore di uno sciacquone, e Vincent – che era appostato in casa per freddarlo – esce dal bagno con un libro in mano. I due si fissano per qualche istante, sbigottiti. Il campanello del tostapane provoca la reazione di Butch: spara su Vincent, che per il contraccolpo viene ributtato in bagno, dove muore.

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– Il film si conclude dove è iniziato: all’Hawthorne Grill, dove “Zuccherino” (Tim Roth) e Yolanda (Amanda Plummer) rapinano i clienti del diner. Anche in quel caso Vincent è in bagno, a leggere il suo libro. Al suo ritorno nella sala del diner, Jules ha preso il controllo della situazione, sopraffacendo i due rapinatori da strapazzo.
Una piccola curiosità: il libro che Vincent si porta dietro nelle sue “sedute” in bagno è un racconto sulla spia-donna Modesty Blaise, un omaggio alla letteratura “pulp” dalla quale il film prende il titolo.

Il Padrino (The Godfather, Francis Ford Coppola, 1972)

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Durante la festa di matrimonio della sorella Connie, Michael Corleone (Al Pacino) racconta alla fidanzata Kay (Diane Keaton) una storia di intimidazione mafiosa della quale è stato protagonista suo padre, il boss Vito Corleone (un grande Marlon Brando) col suo fido accolito Luca Brasi (Lenny Montana).
Alla fine del racconto, Kay rimane attonita e come sospesa, sembra che non sappia come reagire a ciò che ha appena ascoltato. Michael commenta, disincantato: “La mia famiglia è così: non mi assomiglia.”
Purtroppo, gli assomiglia fin troppo. Quando il padre viene assalito e quasi ucciso da una banda rivale, Michael rivelerà tutto il cinismo e la fredda crudeltà di cui è capace, proponendo di freddare il mafioso rivale e il corrotto capo della polizia cittadina durante un incontro in terreno neutro, un ristorante italiano nel Bronx.  Coppola sottolinea ed enfatizza il momento di svolta di Michael, da “bravo ragazzo” in disaccordo con i metodi della sua famiglia, a vero mafioso e futuro capo dell’organizzazione. Lo fa in modo semplice ma molto efficace: stringe lentamente il campo su Michael seduto in poltrona, con già la postura del leader, freddo e cinico, che con calma snocciola tutti i passi necessari per raggiungere l’obiettivo.

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Il fratello Sonny (il bravo James Caan), che da primogenito è l’erede naturale del padre, è coraggioso e virile, ma più smargiasso e disorganizzato del fratello minore, e molto meno intelligente. Già da questa inquadratura si capisce che sarà Michael a reggere le fila della “famiglia”, e il suo primo atto in tal senso è l’omicidio a sangue freddo nel ristorante.
Dato che Michael verrà certamente perquisito prima dell’incontro, la pistola con cui compirà il duplice omicidio viene nascosta da alcuni complici nello sciacquone del bagno del ristorante. Anche in questo caso, un bagno diventa lo snodo cruciale non solo del plot, ma anche dell’evoluzione – devoluzione, anzi – etica del protagonista.

Un altro articolo in questo film parla de “Il Padrino”: Un articolo che non potete rifiutare

Shining (The Shining, Stanley Kubrick, 1980)

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In questa pellicola del grande Kubrick, tratta dall’omonimo romanzo di Stephen King, ci sono alcune scene importanti che si svolgono in bagno.
– Jack (Jack Nicholson), accidentalmente macchiato da un cameriere – e stupisce che non si chieda da dove mai sbuchi, visto che l’hotel è disabitato – va in un bagno per farsi ripulire. Capisce presto che il cameriere è una presenza soprannaturale. Anzi, è il vecchio custode dell’hotel, lo stesso incarico che lui ricopre ora, e che – in preda alla follia – uccise e fece a pezzi la famiglia per poi suicidarsi. Il cameriere-fantasma informa Jack che il figlioletto Danny (Danny Lloyd) sta cercando di mettersi in contatto telepatico con l’esterno, mettendo così in pericolo gli spiriti che abitano l’hotel.
– Wendy (Shelley Duvall, che uscì dalle riprese con un esaurimento nervoso, a causa del perfezionismo estremo di Kubrik) informa concitatamente il marito che il figlio Danny è stato malmenato da una donna sconosciuta. Sapendo che lui e la sua famiglia sono i soli abitanti dell’Overlook Hotel, Jack prima reagisce con incredulità, ma poi si mette in cerca della misteriosa donna.
La trova nella famosa stanza 237, prima nelle sembianze di una bellissima giovane, che esce nuda dalla vasca da bagno e lo bacia. Durante il bacio, però, si trasforma in una laida e anziana donna in decomposizione, che cerca di ghermirlo ridendo sguaiatamente.

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Questa scena è un omaggio di Kubrick a Diane Arbus, della quale era un ammiratore. La Arbus era una famosa fotografa statunitense di origini russe, nota per il suo interesse per le figure umane diverse dal normale. Morì suicida nel 1971 con una forte dose di barbiturici e tagliandosi i polsi nella vasca da bagno.
– Per la famosa scena in cui Jack, ormai impazzito, rompe la porta del bagno con l’ascia per raggiungere e uccidere la moglie (“Sono il lupo cattivo!”), il reparto oggetti di scena costruì una porta che potesse rompersi facilmente. Jack Nicholson, però, in passato aveva lavorato con i pompieri e la fece a pezzi troppo facilmente. A quel punto il reparto fu costretto a costruire una porta più resistente.

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Full Metal Jacket (Stanley Kubrick, 1987)

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Questo iperrealistico capolavoro è costruito in quattro parti, calibrate fra loro per lunghezza e struttura. La narrazione è però così fluida che lo spettatore quasi non si rende conto della geometria sottostante.
La prima parte è imperniata sull’addestramento dei marines in partenza per il Vietnam e sul loro istruttore, il dispotico sergente Hartman. I ragazzi vengono prima di tutto privati della loro identità: prima con la tosatura (è il termine adatto) a zero dei capelli, poi con l’assegnazione di nomignoli (Biancaneve, Joker, Palla di Lardo, etc.) che li spersonalizzano. La dura disciplina del campo e l’implacabile autoritarismo del sergente istruttore li portano al limite delle forze fisiche e psichiche, anche se è chiaro che Hartman si comporta in quel modo per preparare i giovani alle improbe condizioni di guerra che si troveranno ad affrontare di lì a poco.

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Uno dei ragazzi però non regge. Leonard “Palla di Lardo” (Vincent D’Onofrio, che dà vita a una interpretazione memorabile e diverrà poi famoso in tv con la serie “Criminal Intent”) è più fragile dei commilitoni, e angariato e subissato dalle punizioni del sergente istruttore scivola irrimediabilmente nella follia.
La notte prima della partenza per il Vietnam, Joker è di guardia. Scopre Palla di Lardo in attesa nel bagno del sergente, armato di un M14 caricato con proiettili blindati Full Metal Jacket (da cui il titolo del film). Palla di Lardo ha ormai varcato la soglia della sanità mentale, e una volta che il sergente entra nel bagno attratto dalle urla della recluta, e lo insulta di nuovo, lo uccide con un colpo al torace, per poi spararsi in bocca davanti all’atterrito compagno.
Questo tragico episodio chiude la prima parte del film. Quella successiva vedrà Joker e i suoi commilitoni in Vietnam. Un commento sul finale del film è disponibile nell’articolo Battute finali in questo blog.

Margin Call (J.C. Chandor, 2011)

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Il broker Sam (un efficace Kevin Spacey) è combattuto tra il salvare la sua compagnia, e se stesso, dal tracollo – imbrogliando così milioni di risparmiatori e provocando un collasso finanziario mondiale – o denunciare tutto alle autorità competenti. Sceglie la prima soluzione, non senza una lacerazione interiore. La vicenda si svolge nell’arco di 24 ore, e ovviamente ricalca i fatti autentici che portarono alla crisi finanziaria del 2007-2008.
Nonostante i protagonisti si diano da fare per imbrogliare quanti più poveri cristi possibile, stranamente lo spettatore prova per loro una inesplicabile empatia – tranne che per il cinico e spietato John Tuld (un Jeremy Irons “villain” a tutto tondo, perfettamente in parte).
Così quando uno dei giovani analisti che partecipano all’operazione, stressato e angosciato, si chiude in bagno a piangere e viene poi licenziato quando ne esce, ci dispiace davvero per lui.

Blade Runner (Ridley Scott, 1982)

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Nelle sequenze finali di questa splendida pellicola, uno dei più bei film di fantascienza di sempre, il replicante Roy (Rutger Hauer) insegue il cacciatore di taglie Deckard (Harrison Ford) nei fatiscenti, sgocciolanti bagni dell’edificio dove si nasconde, terrorizzandolo con i suoi lugubri ululati e la sua forza sovrumana. Alla fine il quasi-uomo Roy si dimostrerà ben più umano del suo antagonista, salvandogli la vita come ultimo atto prima di morire – o smettere di funzionare.

Il testimone (Witness, Peter Weir, 1983)

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Samuel, un piccolo Amish di passaggio a Philadelphia con la mamma (una fulgida Kelly McGillis), va nei bagni della stazione e assiste ad un omicidio.
Il resto della pellicola è imperniato sugli sforzi del poliziotto John Book (Harrison Ford) per proteggerlo dai suoi corrotti colleghi, colpevoli del crimine.

La 25ma ora (25th Hour, Spike Lee, 2002)

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Il protagonista Monty (Ed Norton) si chiude nel bagno del bar di suo padre per fare i conti con se stesso. Rimando all’articolo New York al cinema in questo blog, dove la scena è commentata.

Psycho (Alfred Hitchcock, 1960)

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Scontato ma inevitabile, quindi lo cito, ma rimando all’articolo La scena della doccia in Psycho in questo blog per una lettura della famosissima sequenza.

Una poltrona per due (Trading Places, John Landis, 1983)

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L’ex senzatetto e mendicante Billy Ray (Eddie Murphy), catapultato in una vita da yuppie dai cinici fratelli Duke a causa di una scommessa, è destinato ad essere presto ributtato in strada. Viene a sapere la verità  mentre si fuma una canna nascosto in bagno, dove anche i Duke, credendosi soli, si sono appartati per pagare la scommessa e concordare i passi successivi.
Insieme a Louis (Dan Aykroyd), l’altra vittima del cinico esperimento e di cui ha preso il posto, Billy Ray si vendicherà con fiocchi e controfiocchi.

2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, Stanley Kubrick, 1961)

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Terza citazione di Kubrick! Non poteva mancare questa piccola buffa scena col passeggero del traghetto lunare alle prese con le chilometriche istruzioni per l’utilizzo di una toilette a gravità zero.

23 gennaio 2017