Phantom of the Paradise, del 1974, è un film di Brian de Palma, che fu quasi un flop al botteghino ma divenne presto un cult-movie.

“Il fantasma del palcoscenico” è un film bizzarro, stravagante, molto “anni ’70” ma allo stesso tempo – e a dispetto della sua forma di rock-opera leggera – con valenze tematiche più che serie e davvero universali. Non per nulla De Palma (regista che amo molto) ne ha scritto soggetto e sceneggiatura utilizzando alcuni notissimi archetipi letterari e filosofici. Condivido la mia analisi, includendo altri richiami cinematografici e letterari che a mio parere possono essere di interesse.

Gaston Leroux, “Il fantasma dell’opera” (Le Fantôme de l’Opéra, 1910)

Lo cito per primo, non foss’altro che per il richiamo del titolo e per l’impostazione della trama, che il film richiama fortemente.

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la copertina della prima edizione

Gli spazi
Come nel libro, anche il film è ambientato in spazi chiusi, e per la maggior parte in un teatro: il “Paradiso” nel film, l’Opéra di Parigi nel libro.
Questa ambientazione raccolta e quasi claustrofobica è di minor impatto nel film, dove la bizzarria della vicenda e dei personaggi, le musiche, la fantasmagoria di costumi e ambientazioni, catturano l’attenzione.

Nel libro, al contrario, l’Opéra è a tutti gli effetti un personaggio autonomo, dove i meandri, i corridoi, le botole, i passaggi segreti, i piani sotterranei, il lago posto alle fondamenta – dove Erik ha eletto la sua dimora – non sono solo i luoghi dove la trama si dipana, ma elementi essenziali della storia, fonte di sorprese e colpi di scena, il respiro stesso della vicenda.
Il teatro sembra vivere di vita propria: dà ricetto a personaggi sorprendenti (primo fra tutti il protagonista Erik, ma anche i chiudi-porta, l’incantatore di ratti, il Persiano…); ospita luoghi misteriosi, come il palco n. 5, dove la voce, e solo la voce! del fantasma si palesa; con i suoi trabocchetti e la sua architettura forza i personaggi ad incontrarsi, inseguirsi, perdersi, ritrovarsi, rimanere intrappolati in un bizzarro labirinto affollato di quinte, arredi di scena, postazioni tecniche, camerini degli artisti, scale e scalette, il tutto inframmezzato da digressioni sulla storia del teatro e dei suoi protagonisti presenti e passati. Leroux si documentò a lungo, studiando a fondo le planimetrie dell’edificio, e il risultato è a dir poco straordinario.

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edizione italiana del 1931, ed. Bietti

Un punto che mi piace particolarmente, e indicativo del genio di Leroux: quando dopo tanti tenebrosi misteri, omicidi inspiegabili, atmosfere gotiche, sotterranei minacciosi, finalmente si arriva alla residenza del Fantasma (alias Erik), inaccessibilmente collocata sottoterra, ebbene, che vi troviamo? Un normalissimo appartamento dell’Ottocento borghese, con un mobilio “di una bruttezza domestica toccante, così pacato, così ragionevole”. Erik stesso ne spiega il perché, con una battuta memorabile: “E’ tutto quanto mi resta della mia povera miserabile madre”.

Anche nel film di De Palma ritroviamo questa impostazione a spazi chiusi.
Nel teatro abbiamo la saletta di incisione dove Swan segrega Winslow (alias, il Fantasma) perché porti a termine la sua opera, per poi tentare di murarvelo dentro; il palcoscenico, dove succedono vari fatti salienti: vi si svolgono le audizioni, le prove di scena, vi esplode una bomba, e l’effeminata rock-star Beef viene uccisa (anzi, letteralmente “fulminata”) dal Fantasma. Sempre dentro il teatro ha inizio e si conclude la vicenda di amore, morte, e dannazione.
Altro luogo chiuso è la sede della “Death Records”, dove Winslow tenta invano di farsi ricevere da Swan; dove sono i magazzini di dischi che Winslow tenta di distruggere; è, infine, dove Winslow rimane impigliato nella pressa di incisione che lo sfigura orribilmente.
Nel complesso, solo alcune scene sono girate all’esterno, e per brevi sequenze: quando Winslow evade dal carcere, e raggiunge gli studi di Swan per vendicarsi.
Un vero film “a scatola chiusa”.

Winslow

La maschera
Nel romanzo di Leroux, il Fantasma (alias Erik) è mascherato, per celare il suo orribile aspetto di teschio all’eroina, il soprano Christine Daaé.
Fino a quasi due terzi del libro, nessuno sa quale sia il vero aspetto di Erik. Quando Christine, rapita dal Fantasma, gli intima di togliersela, Erik risponde: “Non vedrete mai il volto di Erik.” Invece sarà Christine stessa a strappargli la maschera e a rimanere inorridita.
Anche Winslow, nel film di De Palma, nasconde il suo viso deturpato con una maschera da gufo argentato. Gli viene tolta due volte: da Swan, che poi lo convince a finire l’opera per Phoenix. E nel finale, dal pubblico impazzito del “Paradiso”, in tempo per farsi riconoscere da Phoenix prima di morire fra le sue braccia.

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“The Phantom of the Opera”, 1925, protagonista Lon Chaney

Naturalmente, una vicenda così conturbante non poteva non generare numerose trasposizioni di ogni genere: balletti, musical, e ovviamente film. Di tutte le pellicole tratte dal libro di Leroux, ricordo quella a mio parere più fedele al romanzo, il film del 1925 con protagonista Lon Chaney (“L’uomo dai mille volti”). Purtroppo l’originale muto è andato perduto; ne circola una versione più tarda, doppiata, ma non da tutti gli attori originali.
Una piccola curiosità, che ho scoperto per caso: nel film del 1925 l’eroina Christine Daaé era interpretata dall’attrice Mary Philbin. E Philbin è anche il nome del braccio destro di Swan: un chiaro omaggio di De Palma alla pellicola muta.

Philbin

In ogni caso, rispetto ad altri film più fastosi e pretenziosi, e nonostante sia più una libera interpretazione che non una trasposizione fedele del romanzo, il film di De Palma è straordinariamente aderente allo spirito e al mordace ‘sense of humour’ del libro, senza contare lo stile registico: brioso, visionario e dissacrante, proprio come la prosa di Leroux.

Johann Wolfgang von Goethe, “Faust” (1808)

Una delle opere più complesse, non solo della letteratura e filosofia tedesca, ma mondiale. Goethe vi lavorò per sessant’anni, rendendo il protagonista un archetipo letterario e imprimendolo nella cultura collettiva per sempre.

Come si sa, Faust vende l’anima al demonio in cambio di un momento di piacere eterno. Più prosaicamente, Swan vende l’anima per mantenere la gioventù. Ma il contratto prevede che Swan debba rivedere il video del suo patto col demonio tutti i giorni, e che tale video non debba mai essere distrutto. Winslow lo scoprirà quasi alla fine, e bruciando la pellicola decreta la morte di Swan, e la propria.

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Oscar Wilde, “Il ritratto di Dorian Gray” (The Picture of Dorian Gray, 1890) 

Nel patto che Swan stipula col demonio, la sua immagine nel video invecchierà al posto suo. Allo stesso modo nel romanzo di Wilde il fatale, somigliantissimo ritratto porterà i segni del tempo e dei molti vizi e crimini dei quali il protagonista si rende colpevole.  Dorian conserva invece quell’aspetto giovane e puro che riesce a ingannare tutti. (per un approfondimento sul libro e i film che ne sono tratti, vedi QUI).

Nel finale del film, mentre la pellicola del suo patto infernale brucia, Swan mostra il suo viso decomposto, poco prima di essere ucciso da uno spettatore, che lo infilza con un appuntito copricapo di scena.
Lo stesso accade a Dorian Gray: accoltella il suo ritratto in un accesso d’ira, così uccidendo se stesso. I servitori trovano “appeso alla parete uno splendido ritratto del loro padrone come lo avevano visto l’ultima volta, in tutta la meraviglia della sua squisita giovinezza e bellezza. Sul pavimento giaceva un uomo morto, vestito da sera, con un coltello conficcato nel cuore. Era avvizzito, rugoso, ripugnante a vedersi. Soltanto dopo avere esaminato i suoi anelli riconobbero chi era.”

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Altri riferimenti cinematografici

  • Beef viene minacciato dal Fantasma nella doccia in modo simile a quanto avviene in Psycho. Vedi il mio precedente articolo in questo blog dove questo richiamo è citato: La scena della doccia in Psycho
  • Prima di iniziare un’orgia con le sue groupies, Swan dice “Tutti insieme, appassionatamente”, con riferimento al noto, sdolcinato film musicale interpretato da Julie Andrews.
  • L’assemblaggio di Beef durante lo spettacolo al “Paradiso” è chiaramente derivato dal mito di Frankenstein, e ai diversi film che ne trattano la storia.

Non posso concludere senza encomiare la colonna sonora, interamente scritta dal bravo Paul Williams, che nel film interpreta Swan (ovviamente…).
Del resto, si è prestato a prendersi in giro con molto spirito nel ruolo del diabolico compositore.

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Luisa Fezzardini, 7 marzo 2017