Pellicola-bruciata

La gloriosa tradizione dei cinema d’essai era vivissima a Milano negli anni ’70 e ’80. Erano sale alternative rispetto a quelle più canoniche e ufficiali, le cosiddettte “prime visioni” e “seconde visioni”. C’era poi la categoria del “proseguimento prime”, sale un po’ meno lussuose e confortevoli delle “prime”, ma con un biglietto meno caro si riusciva a vedere il filmone di turno a una ragionevole distanza di tempo dalla uscita.

Già lì si percepiva la differenza di disponibilità pecuniaria tra gli spettatori: chi parlava con disinvoltura di film usciti in “prima” aveva certamente più soldi in tasca di chi, studente all’epoca come me, doveva aspettare che il film passasse in “seconda”, o al massimo in “proseguimento prima”. Va chiarito, per chi non abbia vissuto quell’epoca, che le pellicole restavano in “prima” per un periodo di tempo che oggi sarebbe spropositato: tre settimane al minimo, forse anche più.

In quel panorama, le sale d’essai si proponevano in modo del tutto diverso: era dove si vedevano i film d’avanguardia, di nicchia, le sperimentazioni, i film stranieri che poi sarebbero diventati di culto.

L’Argentina era una di quelle sale, situata appunto in piazza Argentina, proprio nel mezzo di corso Buenos Aires. La favorivano la posizione strategica, l’essere proprio all’uscita del metrò, nonchè le sue rassegne, che venivano chiamate “maratone”, e che divennero storiche a Milano.
Le “maratone” riproponevano film rari e poco conosciuti, raccolti per genere: horror, fantascienza, western, musical, film di guerra, e così via. Duravano un mese o più, e in determinati giorni si potevano visionare diverse pellicole una dietro l’altra: praticamente, ci si poteva seppellire al cinema per un giorno intero e vedersi o rivedersi i classici del genere.

All’Argentina ho visto per la prima volta “Il gabinetto del dottor Caligari”, “Nosferatu” di Murnau, “Metropolis”, e tanti altri. Ricordo in particolare una maratona del cinema gotico e horror, durante la quale in un solo pomeriggio proiettarono tutta la serie di Frankenstein, tra cui i due famosi capostipiti, “Frankenstein” e “La moglie di Frankenstein” di James Whale, ma anche alcuni sequel tremendi, tipo “Frankenstein contro Maciste”, “Frankenstein contro Dracula”, etc.  Fa niente, si mandava giù tutto, insieme ai mitici bon-bon di cioccolato ripieni di gelato biancolatte, in confezioni da sei, che si trovavano solo al cinema (ma chi li fabbricava?). L’ “omino dei gelati” non aveva la cassetta a tracolla, ma un vassoio, una particolarità che ho visto solo lì.

I film erano vecchi, il proiettore temo non fosse da meno, quindi ogni due per tre la pellicola si rompeva e si doveva sospendere la proiezione, fra le proteste degli spettatori.
Il pubblico era dei più eterogenei che si possano immaginare: c’erano naturalmente i cinefili, ma anche gli studenti che bigiavano (ehm…), le coppiette (che si appartavano in fondo), gli sporcaccioni che cercavano di molestare le ragazze, i barboni che venivano a farsi una pennica al coperto.
Tuttavia, quelle maratone contribuirono a formare la mia cultura cinematografica come nessuno streaming odierno potrebbe fare: anche in mezzo a scarti e film di second’ordine, si percepiva l’evoluzione di un genere, la sua storia, gli stilemi registici.

Un esempio per tutti: nel 1980 l’Argentina proiettò, primo e unico cinema a Milano per quanto ne so, “Duel” di Spielberg, una pellicola che si può ben definire di rottura, e che ho trattato qui nella serie Road Movies.

Ricordo con simpatia il manichino all’ingresso della sala, sempre un po’ piegato in avanti in modo sinistramente incombente (probabilmente era solo datato e malfermo sul suo supporto): a seconda della rassegna ospitata, era vestito da alieno, o da mummia, o da Dracula, e così via. Ben lungi dal terrorizzare chicchessia, era però argomento di critiche e buffonerie mentre si aspettava di entrare.

In questo documentatissimo sito è riportata la storia integrale della sala: http://www.giusepperausa.it/cinema_argentina.html

Luisa Fezzardini, 11 marzo 2017