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Metropolis è un film straordinario. Ne riconosco e accetto tutti gli inevitabili limiti, ma lascio la parola a Luis Buñuel, e condivido il suo pensiero: “Metropolis non è un film unico: sono due film uniti per il ventre, ma con necessità spirituali divergenti, assolutamente antagonistiche. Quelli che considerano il cinema in quanto valido narratore di storie, patiranno con Metropolis una profonda delusione. Ciò che lì ci viene narrato è triviale, ampolloso, pedantesco, di un vieto romanticismo. Ma se all’aneddoto preferiamo lo sfondo plastico-fotogenico del film, allora Metropolis colmerà tutte le misure, ci stupirà come il più meraviglioso libro d’immagini che sia mai sta­to composto.”
(la revisione completa del grande regista è disponibile in questo sito).

Nel film l’attrice Brigitte Helm impersona sia Maria, la protagonista, che il robot che poi ne assumerà le sembianze. Il robot viene indicato come Maschinenmensch ovvero essere-macchina, ed è un automa dalle fattezze femminili.

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Il robot si trasforma in Maria

Nella pellicola è lo scienziato Rotwang il suo creatore, ma fu Walter Schulze-Mittendorff il suo autentico designer.
Schulze considerò per primo un robot fatto di ottone, ma sarebbe risultato troppo pesante. Scoprì poi un nuovo materiale, il “legno plasticato” (plastic-wood”), facile da modellare. Usando un modello in resina dell’attrice, Schulze costruì una specie di armatura che la protagonista potè indossare. Il tutto venne poi dipinto a spruzzo con una vernice alla polvere di bronzo che diede al manufatto un aspetto metallico molto convincente.

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Pensate per caso che il robot di Metropolis datato 1927 assomigli al C-3PO di Guerre Stellari? Beh, avete proprio ragione.

Anche così, la povera Brigitte Helm ebbe notevolissime difficoltà a muoversi, e nonostante i molti interventi l’armatura la pizzicava e le graffiava la pelle. Le riprese dell’animazione del robot presero nove giorni (!), e divenne quasi un gioco per la troupe infilare monete nelle fessure dell’armatura, quasi a compensare la Helm della fatica. Peraltro l’attrice usava le monete per acquistare tavolette di cioccolato alla mensa degli studios.

Il Maschinenmensch è senz’altro un archetipo del “complesso di Frankenstein”, dove una creatura artificiale prende il sopravvento sul suo creatore, o comunque ne travalica le intenzioni. In questo breve estratto del film, la prima apparizione del (anzi, della) Maschinenmensch. Per altri articoli sugli esseri artificiali si rimanda alla pagina Cinema.

3 maggio 2017