Parrebbe una missione impossibile: come trasmettere attraverso una pellicola le suggestioni del cibo, i profumi, i sapori, l’esperienza conviviale? Invece alcuni film sono riusciti a darci questa emozione.
Quelli che tratto qui hanno in comune una cifra che probabilmente è una delle poche, se non l’unica, che il cinema può utilizzare per trattare l’argomento: ovvero, che il cibo nutre il corpo ma anche – e soprattutto – l’anima.
Ringrazio mio marito Mario che mi ha dato l’idea, e non per nulla è un esigente gourmet e un ottimo cuoco.
Il pranzo di Babette (1987)
Per chi non l’avesse visto, rimediate subito. Questo delicato racconto, tratto da una novella di Karen Blixen, è l’apoteosi del concetto che il cibo può trasformarsi da mero mezzo di sostentamento corporale a esperienza emotiva e spirituale.
La trama: Danimarca, 1800. Le sorelle Martina e Philippa sono figlie di un pastore protestante assai austero, che guida il suo piccolo gregge di anime in un paese isolato, collocato sulla costa danese.
Il paesaggio scabro e selvaggio, la presenza di un oceano muto e immenso, fanno da contraltare al rigore puritano della vita che vi si conduce. In gioventù le due sorelle, entrambe fanciulle belle e fiorenti, hanno vissuto una storia d’amore con due gentiluomini che rappresentarono autentiche intrusioni in un mondo così raccolto e un po’ bigotto: Martina, con un giovane ufficiale, ospite di una ricca parente.
Philippa – in virtù della sua splendida voce di soprano – con un artista lirico francese, Monsieur Achille Papin, che era capitato nei pressi per una pausa dalle sue tournée e avrebbe voluto farne una primadonna.
Le storie si chiudono in breve tempo quasi prima di cominciare, poichè il padre desidera che le due ragazze lo affianchino nella sua missione religiosa. Tuttavia, entrambe le vicende avranno – a diverso titolo – strascichi importanti fino al tempo presente del film, che vede Martina e Philippa anziane, mai sposate, e ancora un riferimento spirituale per la piccola comunità in virtù del ricordo del loro ormai defunto padre.
In una notte buia e tempestosa (e la citazione di Dumas si adatta perfettamente al caso) nella vita monotona e isolata delle due sorelle irrompe, letteralmente, Babette: una donna francese che i moti della Comune parigina hanno privato del marito e del figlio, uccisi durante i disordini.
E’ Monsieur Papin che la raccomanda alla loro compassione: ormai ritiratosi dalle scene, anziano e solo, si rivolge alle sue conoscenti di gioventù, che immagina circondate da una numerosa famiglia. Papin ricorda con delicatezza a Philippa la loro breve storia, dicendosi sicuro che in paradiso ella “sarà la grande artista che Dio intendeva che fosse”.
Babette, che si dimostra una cuoca eccellente, si fa presto benvolere da tutti: operosa e discreta, diventa indispensabile alle due sorelle, che di contro la ricambiano con vero affetto. L’unico legame con la Francia ormai lontana è un biglietto della lotteria, che Babette compra puntualmente ogni anno.
Un giorno Babette riceve l’inaspettata notizia: ha vinto 10.000 franchi alla lotteria, una cifra considerevolissima. Martina e Philippa si aspettano che Babette usi il denaro per rientrare in patria. Dopo attenta riflessione, però, lei chiede di poter cucinare un “dîner française” per celebrare il giubileo della nascita del padre delle sorelle: una cena alla quale parteciperà tutta la piccola comunità locale, che negli ultimi tempi è consumata da litigi e disaccordi.
Alla cena partecipa anche, per una coincidenza, l’ufficialetto che in gioventù aveva amato Martina, e che è poi diventato generale.
Le due anziane signorine accettano, ma man mano che assistono ai sofisticati preparativi per la cena diventano sempre più perplesse e alla fine sbigottite: temono che un banchetto “alla francese” possa sconvolgere il loro austero stile di vita. Condividono la loro ansia con gli altri invitati, che promettono di non pronunciare una sola parola di commento durante il pasto.
Il quale pasto si dimostra una esperienza totalizzante, per i sensi e per lo spirito. Il generale riconosce nelle raffinate pietanze che vengono servite le ricette che una straordinaria cuoca parigina (che ovviamente altri non è che Babette in persona) ammaniva ai suoi clienti del Café Anglais, e i cui pranzi diventavano un vero viaggio sensuale e spirituale.
Il finale è tra i più delicati e commoventi che io ricordi: partiti gli ospiti, le sorelle si precipitano da Babette, che ben sapendo l’effetto che la sua cucina ha sui commensali, attende sicura l’esito della serata. Il “dîner française” è stato un successo, e le sorelle sono pronte a darle l’addio. Ma Babette ha speso tutta la sua vincita per quella cena. E il perché, lo lascio spiegare a lei
Ricette d’amore (2001)
Un film tedesco il cui titolo originale “Bella Martha” è forse più calzante della traduzione italiana. Martha (Martina Gedeck) è infatti la protagonista, il raffinato chef di un ristorante di Amburgo.
E’ giovane e bella, anche se di una bellezza algida e della quale non sembra curarsi granché: tutte le sue energie sono infatti concentrate sul lavoro, dove dà il meglio di sè e pretende il massimo dal suo staff. Il quale staff è di contro colorato e variegato, e include anche una giovane donna in avanzato stato di gravidanza (una metafora del cibo come portatore di vita).
La vita ordinata e monotona di Martha è sconvolta dalla morte della amata sorella, la cui figlioletta di otto anni, che la donna aveva avuto da una fugace relazione con un camionista italiano, viene affidata a Martha.
La piccola è ovviamente sconvolta dalla perdita della mamma e, pur volendo bene alla zia, si chiude in sè: fa un tentativo di fuga per raggiungere il padre in Italia, racconta bugie a scuola, e rifiuta sistematicamente – fino al limite dell’anoressia – il cibo che Martha le prepara: ottimo, ma “senz’anima”.
A dare un altro duro colpo all’organizzata vita di Martha è l’arrivo in cucina di un cuoco italiano, Mario (il bravo Sergio Castelllitto), che la proprietaria ha assunto per dare “un tocco mediterraneo” al menu. I due sono naturalmente agli antipodi come carattere e come approccio ai fornelli, ma sarà proprio l’umanità di Mario a risolvere la situazione e a sbloccare Martha dal suo impasse emotivo. Non svelo come e perché, per chi non avesse visto il film.
Il film soffre evidentemente dei clichè tedeschi sugli italiani (casinisti, un po’ cialtroni, ma simpatici e di buon cuore), che però Castellitto riesce a dosare con misura, rendendo il suo personaggio credibile e capace di delicati sentimenti.
Anche la Gedeck impersona Martha con notevole finezza: l’autentico amore che prova per la nipotina, nonostante il suo atteggiamento apparentemente freddo e distaccato, ce la rendono simpatica. Così come le sue esternazioni (un po’ estreme!) di inflessibile orgoglio professionale – come ad esempio la scena della bistecca al sangue che potete vedere nella clip qui sotto. Per inciso, ho descritto la scena ad un amico chef, e mi ha detto che avrebbe fatto esattamente lo stesso, se non peggio…
Ratatouille (2007)
Non credo che questo cartone abbia bisogno di presentazioni o particolari commenti: alzi la mano chi non l’ha visto. Il topino Rémy, cuoco sopraffino, riesce a cucinare piatti talmente evocativi da sbaragliare la diffidenza dell’ostico, esigentissimo critico culinario Anton Ego (e il nome è tutto un programma).
E’ un prodotto della Pixar godibilissimo, chiaramente non esente dai preconcetti statunitensi in tema di Francia, cucina francese, Europa in generale, ma il tutto talmente ben condito e presentato che si manda giù senza problemi.
Il contributo video non può che essere la scena in cui Ego gusta la ratatouille di Rémy, un piatto della cucina provenzale decisamente povero, ma che cucinato come si deve ingaggia il commensale in una avventura della memoria. Ancora una volta, il cibo dà nutrimento soprattutto allo spirito.
Lezioni di cioccolato (2007)
Un film italiano veramente gradevole. Mattia Cavedoni è titolare di una piccola impresa edile, e insieme al capocantiere adotta ogni misura – lecita e non – per trarne profitto. Un giorno uno dei suoi operai assunti in nero, l’egiziano Kamal, si infortuna, rompendosi entrambe le braccia.
Mattia cerca di convincerlo a non denunciare l’incidente. Kamal accetta, ad una condizione: in Egitto lui era un pasticciere, mestiere che vorrebbe ritornare a esercitare in Italia. A tale scopo si era iscritto ad un corso della Perugina per imparare l’arte della cioccolateria. Al migliore, la Perugina offre un finanziamento per aprire una attività. Ma con le braccia rotte Kamal non può seguire il corso: sarà quindi Mattia a seguirlo per lui, per poi trasmettergli la conoscenza acquisita durante le lezioni.
Mattia non può che accettare, e si trasforma in Kamal, dall’abbigliamento, agli usi e costumi. Da questa partenza si innesca una serie di eventi, equivoci, sorprese, che porteranno ad un finale, anzi a più finali, e non tutti scontati. La cosa più importante è che Mattia impara l’umiltà, la cortesia nel trattare il prossimo, e il rispetto per gli altri.
Nella clip che segue, il bravo Neri Marcorè, maestro cioccolatiere, dichiara quale sia la missione di un artigiano del cioccolato, e in ultima analisi del cibo stesso.
Chocolat (2000)
…e visto che di cioccolato si parla, arriva immancabile questo delizioso gioiellino francese, dove la presenza da zingaro di Johnny Depp dà un giusto tocco di romanticismo.
La bella e brava Juliette Binoche (che ne “Il danno” mi era riuscita sommamente antipatica) interpreta Vianne, una giovane cioccolataia che con la figlioletta Anouk arriva, portata dal vento, a Lasquenet, un tranquillo paesino della provincia francese.
Siamo alla fine degli anni ’50, e Vianne col suo comportamento anti-conformista e la sua cioccolateria, porta scompiglio e un’aria quasi di rivoluzione in paese, dove il conte Raynaud si comporta da feudatario medioevale, sentendosi responsabile della comunità e della sua dirittura morale.
Alla fine del racconto, quasi una favola, Vianne troverà l’amore nel bello zingaro Roux (Johnny Depp) ed entrambi decidono di mettere radici a Lasquenet. La vita di molte persone, compreso il conte (che è in fondo un brav’uomo), ha subìto un cambio di rotta grazie alla cioccolateria e ai suoi prodotti. Una nuova armonia regna in paese.
Di questo bel film ho apprezzato molti aspetti, ma due in particolare: la presenza di Judi Dench (che adoro!), e l’utilizzo per la colonna sonora di Gymnopédies di Erik Satie, e delle musiche di Django Reinhardt.
28 maggio 2017
Rispondi