La recente vicenda che riguarda Riina lascia basiti. In questo articolo di RaiNews vi sono abbastanza estratti della discussa sentenza della Cassazione da permettere di farsi un quadro completo delle motivazioni addotte.
Delle tante dichiarazioni che si sono incrociate, ne cito due che riflettono il mio pensiero, e una sulla quale mi riservo di commentare.
Rosy Bindi (con la quale sono in pieno accordo, una volta tanto): “Totò Riina è detenuto nel carcere di Parma dove vengono assicurate cure mediche in un centro clinico di eccellenza. E’ giusto assicurare la dignità della morte anche ai criminali, anche a Riina che non ha mai dimostrato pietà per le vittime innocenti. Ma per farlo non è necessario trasferirlo altrove, men che meno agli arresti domiciliari, dove andrebbero comunque assicurate eccezionali misure di sicurezza e scongiurato il rischio di trasformare la casa di Riina in un santuario di mafia”.
Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili: “L’espressione usata ‘diritto ad una morte dignitosa’ la ritorniamo al mittente – commenta – Si può morire dignitosamente ovunque nelle mani di uno Stato, tranne in via dei Georgofili come è avvenuto il 27 maggio 1993 per Dario, Nadia, Caterina, Angela, Fabrizio e quanti ancora oggi spesso non possono condurre la vita che gli resta dignitosamente”.
La dichiarazione che vorrei commentare è quella di Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, che si interessa della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale. “In attesa di leggere le motivazioni della pronuncia della Cassazione, quella su Riina è una sentenza molto importante poiché pone il tema della dignità umana e di come essa vada preservata anche per chi ha compiuto i reati più gravi e, di conseguenza, come la pena carceraria non possa e non debba mai trasformarsi in una sofferenza atroce e irreversibile.”
“Ancora oggi – prosegue Gonnella – ci sono detenuti che da circa 25 anni sono continuativamente sottoposti al regime duro di vita penitenziaria disciplinato dall’art 41 bis 2° comma dell’ordinamento penitenziario. Alcuni di loro versano in condizioni di salute gravissime tali da non poter costituire mai un pericolo all’esterno”.
Comprendo che Gonnella voglia, dato il suo ruolo, combattere una battaglia ad ampio spettro a favore di tutti i detenuti. Ma secondo me sbaglia in modo clamoroso.
Dal punto di vista prettamente sanitario, ricordiamoci che Riina non giace in una segreta, a pane e acqua, con un pagliericcio per letto. Le condizioni che la sentenza cita e che pare rendano la permanenza di Riina in carcere incompatibile con le sue condizioni di salute, sono (cito): “…la necessità di avere a disposizione un particolare letto rialzabile, [che] non può essere soddisfatta a causa delle ristrette dimensioni della camera di detenzione’. Il tribunale [di sorveglianza di Bologna], prosegue la corte, avrebbe dovuto ‘rinviare la propria decisione all’esito di un accertamento volto a verificare, in concreto, se e quanto la mancanza di un letto che permetta ad un soggetto molto anziano e gravemente malato, non dotato di autonomia di movimento, di assumere una diversa posizione, incida sul superamento o meno di quel livello di dignità dell’esistenza che anche in carcere deve essere assicurato’.”
Insomma, il tribunale di Bologna – che aveva rigettato l’istanza in primis – non ha verificato concretamente che la cella di Riina potesse accogliere un letto rialzabile. Per tale motivo, il boss se ne può tornare a casa, curato e assistito dalla famiglia, e potrà morire nel suo letto (rialzabile) circondato dalla reverenza generale – perché questo accadrà, non facciamoci illusioni. Tutto ciò mentre le forze dell’ordine dovranno dispiegare misure straordinarie di sorveglianza, a nostre spese ovviamente, per garantire sicurezza e ordine intorno alla casa di un feroce macellaio, che in tutti i suoi anni di detenzione ha continuato tranquillamente a gestire i suoi affari dal carcere, e che giusto ora “non costituisce un pericolo all’esterno” come dice Gonnella.
Che non costituisca un pericolo è comunque da vedere, visto che ha sempre fatto eseguire ad altri i suoi delitti, e che i suoi attuali impedimenti sono per motivi fisici, e non certo per pentimento o perché gli manchi la volontà di continuare a delinquere.
Sicuramente alla sua morte le esequie saranno grandiose, con tanto di portatori che faranno inchinare le statue dei santi al feretro, corone, compianto, etc.
Ma in fondo, anche i morti di via Georgofili ebbero un bel funerale di stato, quindi immagino che i conti siano pari. (…)
Propongo un ultimo commento sulla vicenda: a chiunque mi legge che abbia un minimo di conoscenza delle dinamiche dell’assistenza sanitaria in questo paese, chiedo di riflettere su quanti anziani – cittadini onesti e probi che hanno passato la vita a lavorare e a tirare su famiglia – versino in questo momento in stato di bisogno assistenziale (di una carrozzella, di supporto domiciliare, di una protesi, anche di un letto rialzabile) senza poterlo ottenere, o ottenendolo con molta difficoltà. Non porto oltre la riflessione.
Faccio ora un passo indietro, per ricordare la vicenda di un altro galantuomo, l’ex capitano delle SS Erich Priebke. Il quale venne condannato in Italia all’ergastolo per l’organizzazione e realizzazione dell’eccidio delle Fosse Ardeatine: 335 nostri connazionali uccisi come bestie al macello. Riporto un estratto di una sua intervista a Repubblica: “Sì alle Fosse Ardeatine ho ucciso. Ho sparato, era un ordine. Una, due tre volte. Insomma, non ricordo, che importanza ha? Ero un ufficiale, mica un contabile. Non ci interessava nemmeno tanto la vendetta, a via Rasella i militari morti erano del Tirolo, più italiani che tedeschi. Ma Kappler fu inflessibile, costrinse anche il cuciniere a sparare. Fucilammo cinque uomini in più. Uno sbaglio, ma tanto erano tutti terroristi, non era un gran danno.” Giova ricordare che tra i rastrellati (per lo più a caso) che trovarono la morte nelle Fosse c’erano malati, anziani, minorenni, 75 ebrei prelevati a caso (giusto per stare sul sicuro).
Le Fosse Ardeatine non sono l’unico orrore di cui questo individuo si è reso responsabile. Per chi voglia saperne di più, la rete abbonda di notizie in merito. Che successe poi a costui? Che fuggì dopo la guerra, riparando in Sudamerica come molti nazisti. Venne identificato da una troupe giornalistica, messo agli arresti domiciliari in Argentina vista l’età avanzata, e infine estradato in Italia dove venne condannato all’ergastolo. E poi, anche a lui, vennero concessi i domiciliari (era anziano e “non costituiva un pericolo”, dove ho già sentito tutto ciò?). Dai quali domiciliari, tra l’altro, partecipò come giudice onorario ad un concorso di bellezza, secondo me facendosi due risate di gusto sulla grottesca assurdità della situazione.
Morì centenario nel 2013. Lo stesso giorno, il suo legale rivelò l’esistenza di un’intervista scritta e di un video “testamento umano e politico” realizzati dall’ex capitano delle SS nei giorni a cavallo del suo centesimo compleanno e in cui Priebke, tra le altre cose, rivendica con orgoglio il suo passato e nega l’evidenza dell’Olocausto.
Sarà interessante vedere se alla morte di Riina si troverà anche un suo “testamento umano e politico”. Probabilmente no. Gli basterà essersi fatto un’ultima grassa risata all’indirizzo di uno Stato che ha turlupinato fino all’ultimo respiro.
La domanda finale che mi pongo è: quale è il significato di “dignità”, di “morte dignitosa” che sia la Cassazione che diversi commentatori citano? Non è forse la proiezione di un ennesimo, distorso senso del “politicamente corretto” che ultimamente pare sia la parola d’ordine indiscussa di ogni questione anche minimamente controversa?
E’ mai possibile che si riconosca il diritto alla dignità a personaggi di tale specie, ma non alla popolazione tutta, a noi cittadini, che abbiamo tutto il diritto a non subire simili scandalose decisioni che – non dimentichiamolo! – vengono prese anche in nostro nome?
Luisa Fezzardini, 6 giugno 2017
6 giugno 2017 at 11:09
al di là della politica, che qui c’entra poco, mi sembra che la dichiarazione della Bindi sia ineccepibile
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6 giugno 2017 at 11:11
Assolutamente.
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12 giugno 2017 at 21:34
contorsionismi verbali per giustificare un passaporto verso una dignità che essi non hanno concesso a nessuno. comunque qui non si tratta di dignita’ se -guarda caso- si prende spunto da casi cosi’ “famosi”. mi sembra una colossale presa in giro verso chi ha perso la vita. … ah gia’ quelli non contano piu’ nulla. Sono esterefatto di potermi indignare ancora, nonostante queste iniezioni quotidiane di anestetici.
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12 giugno 2017 at 22:37
Meno male che riesci ad indignarti… non te ne ramnaricare mai…
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