Questa leggendaria pellicola del 1971 è molte cose in una: è certamente un road movie, nell’accezione che ho illustrato nel primo articolo di questa serie, ovvero una esperienza di crescita e cambiamento. Ma è anche un film di spavento e paura. Non dell’orrore, si badi bene: ma di autentico spavento, generato dalla primordiale paura dell’ignoto.
E’ il secondo lungometraggio di Spielberg, originariamente concepito come film per la tv. Per la distribuzione in Europa vennero aggiunte alcune scene, che lo resero un prodotto per il grande schermo. Il suo enorme, immediato successo, lanciarono definitivamente Spielberg.
La trama è semplice e sottile al tempo stesso: David Mann (Dennis Weaver) è un commesso viaggiatore californiano. Il film inizia con il protagonista che guida la sua auto fuori dal garage al mattino. La casa si intravede per pochi istanti, ma riesce a rendere lo stile di vita dell’uomo: è la classica casetta da “sogno americano”, col suo giardino, il patio, simboli di una vita tranquilla e un po’ monotona. Mentre guida in città, David scambia una telefonata con la moglie, che gli rimprovera di non aver reagito la sera prima durante un party, quando un invitato alticcio ha allungato un po’ troppo le mani. Da questo accenno capiamo che David sfugge le situazioni sgradevoli, più che affrontarle.

Uscito dalla città, si immette in una autostrada a due corsie, che si snoda nel torrido deserto californiano. E lì incontra la sua nemesi: una vecchia, rugginosa autocisterna che procede lentamente, soffocandolo col fumo denso e acre del suo tubo di scappamento. David cerca di sorpassare il mezzo. E lì comincia l’incubo. L’autista della cisterna, forse “offeso” dal tentativo di sorpasso, ingaggia con l’auto un duello mortale, fatto di tamponamenti, agguati, tentativi di investimento, inseguimenti.

L’atterrito David non riesce a capire il motivo di tanto feroce accanimento: cerca di sottrarvisi a più riprese ma senza successo, la cisterna lo scova sempre e gli dà una caccia senza scampo. I tentativi di David di chiedere aiuto falliscono tutti, e l’implacabile deserto che lo circonda non offre via di uscita.


Alla fine, David si rende conto che – per una volta nella vita – dovrà affrontare la situazione. E lo fa, usando la propria auto come arma e uscendo vivo dallo scontro, mentre la cisterna si inabissa in un dirupo emettendo un suono simile ad un lamento umano. E’ un mezzo inanimato che si schianta? o un demone maligno?
La caccia è durata tutto il giorno. Non è chiaro se David riuscirà a cavarsela: solo nel deserto, l’auto distrutta, si siede sull’orlo dell’abisso dove si è sfracellato il suo antagonista, gettando sassi nel vuoto mentre il sole tramonta.

La quasi assenza di colonna sonora, ridotta a suoni più che a un commento musicale, contribuisce all’angosciante effetto di insieme.
Va detto che Dennis Weaver, che è in pratica l’unico vero protagonista umano del film, dato che gli altri sono solo personaggi di contorno, è veramente eccezionale, e riesce a mantenere la tensione, e a trasmettercela, per tutta la durata della pellicola.
Gli elementi di suggestione di questo film sono diversi.
Come accennavo all’inizio, la paura dell’ignoto: non si vede mai il guidatore della cisterna, di lui si scorgono solo un braccio, quando fa segno a David di superarlo (per cercare in realtà di farlo schiantare con un mezzo che procede in direzione opposta), e le gambe calzate di stivali di pelle di serpente, quando si ferma a fare rifornimento in una stazione di servizio. Pare quasi che sia il mezzo in quanto tale, l’autocisterna, dotata di una sua maligna volontà, a voler uccidere David.

L’ambientazione, estremamente insolita per gli spettatori europei all’epoca in cui uscì il film: l’idea di poter percorrere centinaia di chilometri in un deserto, senza quasi traccia di esseri umani, e senza possibilità di chiedere e ricevere aiuto, genera un senso di angoscia e – paradossalmente – di claustrofobia: nonostante gli ampi spazi, il deserto rappresenta una trappola mortale che si chiude sul protagonista.

Il senso della storia: con chi è che David ingaggia il suo duello mortale? è un uomo in carne ed ossa? un demone? oppure combatte contro se stesso, contro il suo io più profondo materializzatosi magicamente in un mostro di ferro?
Alla fine anche in questo film – come molti altri road movies – il viaggio rappresenta una svolta personale per il protagonista, che dovrà cambiare il suo modo di essere per sopravvivere alla tremenda situazione in cui si trova.
In una intervista, Spielberg dichiarò che mentre la sua scelta di Weaver come protagonista fu immediata, per selezionare il camion ci volle un casting vero e proprio: alla fine scelse un mezzo con il “muso cattivo” che aveva in mente, e anche così ci vollero lunghe sessioni di preparazione e “trucco” per dargli quell’aspetto rugginoso e inquietante che risultò così efficace.
Per altri articoli collegati si rimanda alla pagina Cinema sezione “Road movies”.
23 giugno 2017
23 giugno 2017 at 13:55
grandissimo esordio di Spielberg… amo la New Hollywood e il modo in cui ha rivoluzionato il cinema americano e questo film è stato una tappa di quel processo, quanto meno sul fronte “creazione della suspense”…
concordo nella parte in cui poni il dubbio sulla reale entità della minaccia… cos’è (e cosa rappresenta) quel camion? è forse un demone?
ed è proprio per questo che il film andrebbe classificato, oltre che evidentemente come road-movie, anche nel genere horror, più che nel thriller… la differenza tra questi due generi, infatti, sta nella presenza (nel primo) di una minaccia o di un “male” soprannaturale… e in questo caso Spielberg ci lascia proprio con il dubbio che si tratti di qualcosa del genere…
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