Sono ancora tanti e diffusi i pregiudizi verso le coppie dove è la donna ad avere più anni dell’uomo. A questo proposito scrissi questo articolo qualche tempo fa.

Nel cinema il clichè dell’eroe maturo (…e spesso tormentato, con un passato difficile, provato dalla vita ma ancora attraente) che conquista donne molto più giovani e avvenenti è talmente frequente e scontato che non vale la pena portare esempi.
Molto più interessante è analizzare le (poche) pellicole dove avviene il contrario, e considerare  il modello femminile che propongono.

Il laureato (The Graduate, 1967)

…e Mrs. Robinson, naturalmente, che seduce l’imbranato Benjamin (Dustin Hoffman) ma lo vede poi fuggire con la figlia Elaine. Il modello è quello trito della donna-predatrice, che seduce l’uomo più giovane e inesperto.

Dustin Hoffman, Anne Bancroft / The Graduate 1968 directed by Mike Nichols

In realtà tutti abbiamo visto il film, credo, senza mai porci troppe domande sulla signora Robinson. Che era interpretata da una splendida Anne Bancroft, attrice bella, brava,  interprete finissima, e tra l’altro con un registro comico di tutto rispetto, che sfoggiò in pellicole come “Silent Movie” del marito Mel Brooks (sapevate che era di famiglia italiana, non solo, ma di cognome faceva Italiano?)

Ora, direste mai che all’epoca del film la Bancroft avesse solo 36 anni?? e – ancora più clamoroso – che Hoffman ne avesse appena sei di meno?? Ma allora, la storia della donna matura e il giovanotto ingenuo, che fine fa?… In ogni caso, alcuni dettagli della sceneggiatura sono secondo me significativi:

  • Il plot è incentrato sui giovani protagonisti, Ben ed Elaine (Katherine Ross), mentre i rispettivi genitori sono sempre e solo “il signor…” “la signora…”. Non se ne sa il nome, compresa ovviamente la signora Robinson, quasi che il mondo degli adulti venga volutamente tenuto a distanza, con il suo modello borghese e le sue regole, diverse da quelle della generazione successiva. Non siamo ancora arrivati ai moti del ’68, ma già comincia a serpeggiare qualche avvisaglia di malessere generazionale: incomunicabilità, aspirazioni di vita divergenti, rifiuto di ricalcare le orme dei genitori.
  • Non si capiscono bene le motivazioni della signora Robinson nel voler intrecciare una relazione con un uomo tanto più giovane, coetaneo della figlia; tuttavia, quando Ben cerca di fare un po’ di conversazione in camera da letto, per rendere meno squallida la relazione, la signora rivela che dovette interrompere gli studi e sposarsi perché era rimasta incinta appunto di Elaine; si può ipotizzare che la frustrazione per aver dovuto rinunciare alla spensieratezza dei suoi anni giovanili per curarsi della figlia, e un latente senso di competizione verso Elaine come donna, possano essere le cause del suo comportamento.
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Non userò la scontata foto della locandina (la gamba della Bancroft mentre si toglie le calze). In questo bel primo piano, invece, l’attrice appare in tutto il suo fascino.

Harold e Maude (1971)

Di pochi anni successivo a “Il Laureato”, questo film non potrebbe essere più diverso per impostazione e tematiche. A dire il vero, è un film “diverso” in assoluto. I protagonisti sono bizzarri e fuori dagli schemi, la storia è giocata tra fiaba e realtà, il registro va dal comico al drammatico. Tuttavia, non si avvertono scollature: è una vicenda che va presa in blocco, senza farsi domande.

Harold (Bud Cort) è un diciottenne attanagliato dalla noia di vivere. Di tendenze vagamente necrofile, per distrarsi partecipa al funerale di perfetti sconosciuti. Inoltre, inscena elaborati e falsi tentativi di suicidio per cercare di terrorizzare la madre (con scarso successo, dato che lei lo conosce bene) e le varie fidanzate che lei cerca di fargli accettare per “sistemarlo” (che invece ci cascano, e fuggono atterrite).

E’ appunto ad un funerale che Harold incontra Maude (Ruth Gordon), una donna prossima all’ottantina.

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Maude ha un lungo e pesante passato alle spalle (si capirà più avanti che è una sopravvissuta ai lager nazisti), ma ama la vita intensamente e senza condizioni. Riesce a scuotere Harold dal suo torpore esistenziale e a ridargli il gusto di vivere, coinvolgendolo in piccole, strane avventure.

Harold si innamora dell’anziana donna e la vuole sposare, ovviamente suscitando l’indignazione della madre, del prete, di tutti. Per l’ottantesimo compleanno di Maude le organizza una festa a sorpresa, dove intende chiederla in moglie. Una scena, secondo me molto bella, è quella in cui Harold le dona l’anello di fidanzamento, e lei senza esitare lo getta in mare. Alla sorpresa di lui, dice semplicemente: “Così sapremo sempre dov’è.” Un’idea che può venire solo a chi ha già sperimentato cosa significa venire privati di tutto.

Ma la fine è vicina: proprio per il suo compleanno, Maude ha deciso di aver vissuto abbastanza. Si è già avvelenata coi barbiturici, e a nulla vale la disperata corsa di Harold verso l’ospedale (con la sua Jaguar E-type modificata in carro funebre…). Ma la chiusura del film non è triste, tutt’altro. Dopo aver inscenato l’ultimo finto suicidio, Harold si allontana suonando il banjo che gli ha regalato Maude, facendoci capire che da quel momento in poi non sprecherà più la sua vita in una inutile chiusura verso il mondo.

Che modello di “donna più vecchia” è Maude? Impossibile dirlo. Troppo particolari e unici i protagonisti, la situazione, il plot. Tuttavia è rimasta probabilmente l’interpretazione più nota della Gordon, che oltre ad attrice è stata commediografa e sceneggiatrice di talento.

La colonna sonora è tutta di canzoni di Cat Stevens. In questo video quella che è diventata un po’ il simbolo del film, commentata con alcune scene.

 

Le piace Brahms? (Goodbye again, 1961)

Premetto che questo film non mi piace, nè mai mi piacerà. Il modello femminile proposto è scontato, trito, estremamente maschilista. Tuttavia, grazie alla bravura di tutti i protagonisti, merita di essere citato.

La quarantenne arredatrice Paula (Ingrid Bergman) è fidanzata con Roger (Yves Montand), che la trascura e la tradisce in continuazione con donne più giovani. Pur consapevole delle sue infedeltà, lei non riesce o non vuole staccarsi dall’uomo. Un giorno conosce Philip (Anthony Perkins), un sensibile, colto, intelligente venticinquenne, figlio di una sua facoltosa cliente. Il giovane si innamora, e cerca di convincerla ad avere una relazione. Paula però rifiuta, sino a che – all’ennesimo tradimento di Roger – finalmente cede all’amore di Philip.

Tuttavia, a causa della differenza di età, la relazione incontra estrema disapprovazione nell’ambiente di Paula. Roger stesso è sorpreso e spiazzato dalla reazione della fidanzata, che pensava avrebbe continuato a sopportare passivamente il suo indegno comportamento.

Inizialmente felice nella sua nuova relazione, Paula inizia a sentirsi a disagio per il generale rifiuto del suo ambiente. Quando poi Roger le offre finalmente il matrimonio, Paula rompe con Philip. Il quale però, pur non cercando di forzarla a restare, si dimostra un uomo e non un bamboccio: lui la amava veramente, e veramente per lui la differenza di età non contava.

A Paula non andrà bene. Subito dopo il matrimonio, Roger ricomincerà con la vita di prima: appuntamenti disdetti all’ultimo momento, cene mancate, relazioni con donne più giovani, bugie. A Paula non resta che passare le serate da sola, guardando la sua immagine allo specchio appassire col tempo. Forse una nuova vita con l’innamorato Philip sarebbe stata meglio? Domanda senza risposta.

Anche in questo caso la donna “matura” non lo è poi tanto: appena quarant’anni! Ma del resto la morale che questo film ci vuole propinare è che per la donna che invecchia non c’è altra scelta che rassegnarsi, mentre all’uomo rimangono aperte tutte le opzioni.

 

Highlander (1986)

…ovvero, la maledizione di poter vivere per sempre, quando le persone che ami devono invece invecchiare e morire. E’ quello che succede all’ “immortale” Conner MacLeod (Christopher Lambert), che dopo essere stato scacciato dal natìo villaggio per essere incapace di morire, e quindi bollato come “diverso”, trova l’amore nella moglie Heather.

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Ma mentre lui non muore nè invecchia, Heather va incontro al comune destino di tutti i mortali. Lui non la lascia, e rimane con lei con immutato amore fino alla fine.

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Sul letto di morte, Heather gli dice qualcosa che probabilmente ha pensato per tutta la vita: “Non ho mai capito perché sei rimasto.” Lui risponde con semplicità: “Perché ti amo ora come il primo giorno.” Morta Heather, Conner non ha nessun motivo per rimanere dove ha trascorso una vita felice. Seppellisce la sua amata e se ne va.

Non vi è un modello femminile rappresentativo in questo caso. La vicenda narrata è talmente atipica da non rappresentare nessun archetipo riconoscibile. Heather invecchia, è vero, ma anche Conner, sebbene nulla nel suo aspetto esteriore lo dimostri.

Viale del Tramonto (Sunset Boulevard, 1950)

Una cult-movie. Dove la relazione fra la ex-diva del muto in declino Norma Desmond (Gloria Swanson) e il giovane sceneggiatore Joe Gillis (William Holden) è nata per caso, e per motivazioni molto diverse da parte dei due protagonisti. Da parte dell’ex-attrice, il rifiuto di invecchiare, il fatto di sentirsi ancora una grande diva, la necessità di riempire una vita vuota di scopo e di sentimenti (nonostante la fedele presenza di Max, l’ex-marito che pur di restarle vicino si è adattato a farle da maggiordomo e tuttofare). Da parte di Joe, un misto di affetto e di compassione, che però non durerà a lungo, e porterà la vicenda alle sue tragiche conseguenze: la morte di Joe per mano di Norma, e per quest’ultima la follia.

Che dire di questo modello di donna? Ancora una predatrice, che riesce a tenere vicino a sè il giovane amante facendo leva sui suoi sensi di colpa (Joe torna da lei dopo che ha tentato il suicidio). Tuttavia, non è possibile non provare una certa empatia per Norma, che vive cristallizzata in un mondo ormai passato, senza riuscire a rapportarsi normalmente con la realtà.

Anche in questo caso l’età anagrafica della protagonista femminile non è poi eccessiva. Malgrado non venga mai citata esplicitamente, è Joe stesso a sbottare ad un certo punto: “Non c’è nulla di male ad avere cinquant’anni, se non se ne vogliono avere venticinque a tutti i costi!” Una frase molto ragionevole, che però non fa che sottolineare – agli occhi di Norma – la differenza di età che li divide, e ad accendere ancora di più la sua gelosia.

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Big (1988)

Una pellicola leggera, con protagonista il giovane Tom Hanks. Josh è un dodicenne newyorchese, innamorato senza speranza di Cynthia, una compagna di scuola più grande, e costretto dai genitori a badare alla sorellina. Un giorno esprime un desiderio al pupazzo meccanico del mago Zoltar, in un luna park: non vuole più essere un bambino. E contro ogni previsione, il desiderio si avvera. Il giorno dopo Josh è diventato un trentenne (Tom Hanks). Riesce a convincere l’amichetto Billy della sua vera identità: entrambi tornano al luna park, che però si è trasferito altrove. Fino a quando ritornerà in zona, Josh dovrà cercare di barcamenarsi nella sua nuova identità.

Nel frattempo i suoi genitori credono che sia stato rapito, e lui stesso viene scambiato per un criminale. Riesce comunque a trovare lavoro in una fabbrica di giocattoli, come esperto (nemmeno a dirlo…). Fa inconsapevolmente innamorare di sè una collega, Susan. Josh prova a dirle la verità, ma Susan pensa sia una storia per liberarsi di lei.

Alla fine, come prevedibile, Josh riesce a ritornare bambino. Tuttavia, a Susan – che ormai non può che credergli – dice che lei è l’unica cosa della sua fittizia vita da adulto che non avrebbe voluto perdere, e la invita a esprimere il desiderio di tornare bambina. Susan rifiuta, ma entrambi hanno guadagnato e perso qualcosa.

Noterete che la trama è assai simile, anzi quasi identica, ad un film nostrano di solo un anno precedente: “Da grande”, con protagonista Renato Pozzetto. Tuttavia, si tratta di una coincidenza. Va detto che nel suo ruolo da bambino cresciuto, anche Pozzetto se la cava molto bene. Inoltre in questo film la maestra del piccolo protagonista alla fine decide di tornare bambina, regalandoci l’ “happy ending” che in qualche modo manca nella pellicola americana.

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Chéri (2009)

La ancor bella e seducente Lea (Michelle Pfeiffer) è una ex cortigiana di alto livello, che nella effervescente Parigi dell’800 si è ormai ritirata senza rimpianti a vita privata.

Fino a che una ex collega le chiede di iniziare il figlio,  che chiama affettuosamente Chéri, alla vita sentimentale e sessuale. Tra i due nasce però una autentica passione, e una relazione che durerà sei anni. A quel punto Chéri sposa la giovane che la madre ha scelto per lui, ma senza poter dimenticare Lea.

Cercheranno di tornare insieme, ma il passato non ritorna. Lea, ferita da alcune ciniche osservazioni di un Chéri ormai troppo cambiato, lo lascia. Lui si rende conto di avere amato sempre e solo lei, e disperato si toglie la vita.

Il modello della donna esperta che seduce il giovane ingenuo è qua portato ad un altro livello: tutti i protagonisti sono perfettamente consapevoli di ciò che fanno, nessuno inganna nessuno, ma è l’inaspettato insorgere dei sentimenti che rimette tutto in gioco.

Il film è, secondo me, senz’anima. Tuttavia, per una volta propone la storia di una vera passione,  per quanto funestata da un tragico finale. Come a dire che, anche quando sostenuta da un vero amore, una relazione fra un uomo giovane e una donna più matura non può finire bene.

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Che conclusioni trarre da questi esempi? Secondo me, che la nostra società – e di conseguenza il cinema, che della società è espressione – non sono preparati a considerare in modo naturale la differenza di età in una coppia in cui è la donna a essere più vecchia.

Si riesce a concepirla in situazioni anomale o di fantasia (Harold e Maude, Highlander, Big), ma quando sono minimamente calate in un contesto realistico, il finale non può che essere negativo (Il Laureato, Le piace Brahms?) se non addirittura tragico (Viale del tramonto, Chéri).

Che dire… speriamo che il futuro ci porti più apertura mentale.

20 ottobre 2017