Leggi l’introduzione a questa serie di articoli in Serial killer – Ed Gein

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Il 10 gennaio 1993 all’alba i pompieri intervengono per domare l’incendio di una casa a Prévessin-Moëns, nella Francia orientale. Si tratta di una ex-fattoria, trasformata in una confortevole villa dove vive la famiglia Romand: padre, madre, e i figlioletti: la femmina di 7 anni, il maschietto di 5. Solo l’uomo, Jean-Claude, viene tratto in salvo ancora vivo, e viene subito ricoverato con gravi ustioni.

I vicini sono scioccati. La zona è residenziale e piuttosto lussuosa, siamo in Francia ma praticamente l’area è una periferia di Ginevra. Molti residenti lavorano presso le organizzazioni governative della città elvetica, e passano la frontiera tutti i giorni. Il tenore di vita è alto. Tutti conoscono e stimano i Romand, alcuni fin dagli anni dell’università. Lui è ricercatore presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità ed è un ottimo padre di famiglia. Lei è farmacista, lavora part-time, si prende cura dei bambini, è molto attiva nella comunità e nelle scuole dei figli.

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Jean-Claude Romand con la moglie Florence

Si cercano i parenti prossimi per avvertirli. Ma quando la polizia arriva a casa dei genitori di Jean-Claude, due persone più che tranquille e ormai in pensione, si trovano sulla scena di una esecuzione: entrambi i coniugi sono stati freddati con dei colpi di arma da fuoco. Nemmeno il cane è sfuggito alla strage.

Gli inquirenti sono sbalorditi. Si comincia a pensare a una vendetta nei confronti della famiglia. Mentre Jean-Claude è incosciente in ospedale, si aprono le indagini. E lì inizia lentamente a venire a galla una vicenda che ha dell’incredibile.

All’OMS nessuno conosce Jean-Claude Romand. Non ha mai lavorato lì, nè da nessun altra parte in Francia o in Svizzera. Anzi, non è nemmeno un medico: non è laureato, e non è iscritto a nessun albo professionale. Anzi, non è proprio nient’altro.

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Per pazzesco che possa sembrare, Jean-Claude Romand ha vissuto per diciotto anni sulla menzogna, e dietro quella menzogna non c’era assolutamente nulla. Sul punto di essere scoperto, ha trovato preferibile sterminare tutti coloro di cui non avrebbe potuto sostenere lo sguardo. Ha cercato di morire a sua volta, ma senza riuscirci (qualcuno sosterrà poi, con motivazioni piuttosto valide, che il tentativo di suicidio è stato uno dei suoi ennesimi bluff).

Jean-Claude Romand nasce nel 1954, figlio unico. Dopo le scuole superiori, superate con difficoltà, si iscrive a Medicina. Per un banale contrattempo non sostiene l’esame di ammissione dal secondo al terzo anno. Ai genitori però dice di averlo passato a pieni voti. Da quel momento in poi sembra non riuscire più a districarsi dal castello di bugie che va man mano costruendo. Dal 1975 al 1986 si iscrive per ben 12 volte consecutive al secondo anno, così da ottenere una carta dello studente, un documento che gli permette di sostenere la sua finzione.

Nel 1986 dichiara di essersi laureato a pieni voti, e successivamente di aver ottenuto un prestigioso posto da ricercatore presso l’OMS. Si sposa, mette su famiglia. Alla moglie fornisce solo un numero cerca-persone: quando ha bisogno di contattarlo, è lui a richiamarla. I viaggi all’estero in missioni per conto dell’OMS li passa in realtà in camere d’albergo a Ginevra, a leggere guide turistiche dei posti dove poi dirà di essere stato. False le sue innovative ricerche su malattie debilitanti. False le sue conoscenze altolocate, da ministri a prestigiose personalità del mondo della medicina.

Per mantenere la famiglia nel tenore di vita che ci si aspetta dalla sua posizione, attinge a piene mani dal conto dei genitori, e sfrutta illecitamente il guadagno della vendita di un immobile della suocera. Finiti quei soldi, si fa affidare da parenti e conoscenti ingenti somme di denaro, millantando di poterle investire in vantaggiose speculazioni alle quali ha accesso grazie alla sua posizione all’OMS. Si fa persino una amante, Corinne: anche lei gli affida i suoi risparmi, l’equivalente odierno di 150mila Euro, fidando in un guadagno sicuro.

Ovviamente una situazione simile non può durare per sempre. Qualcuna delle sue bugie comincia a venire smascherata, ancora senza conseguenze serie. Qualcuno dei suoi investitori chiede indietro i suoi soldi. Quando il suo castello di carte comincia a scricchiolare, Romand capisce che è il momento della resa dei conti.

A quel punto stermina la famiglia, i genitori, e cerca – fortunatemente senza successo – di uccidere anche l’amante. Torna a casa, dove giacciono da ore i cadaveri di moglie e figli, la cosparge di benzina e appicca il fuoco. Sosterrà poi di aver cercato la morte, ma i barbiturici che ha ingerito erano scaduti da tempo, e all’arrivo dei pompieri ha segnalato la sua presenza. L’accusa qualificherà il suo tentativo di suicidio come un’altra delle sue aberranti menzogne.

Il processo, iniziato nel 1996, attira ovviamente una enorme attenzione da parte della stampa.

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Con la sua faccia da uomo comune Romand era quanto di più lontano si potesse immaginare dall’idea di un serial killer

Emmanuel Carrère, uno scrittore, non un giornalista, si interessò subito alla vicenda, e scrisse a Romand. Ricevette risposta dopo tre anni. L’interesse di Carrère non era tanto per la vicenda in quanto tale – i fatti erano stati chiariti dal processo – quanto per il tipo di uomo che Romand era. Insomma, cosa faceva tutti i santi giorni, per anni, dopo aver salutato la moglie e accompagnato i bambini a scuola? Cosa pensava, cosa provava? Perché non aveva chiarito la situazione? Soprattutto, perché aveva portato avanti la menzogna così a lungo e fino a conseguenze così estreme? E lui, Romand, chi era? Demolito il castello di bugie, c’era ancora qualcosa, un essere umano deprecabile e colpevole, ma comunque un essere umano? oppure il nulla?

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Il libro che ne è uscito si intitola “L’Avversario”, ed è estremamente coinvolgente. Personalmente, mi ha molto turbato. Carrère – e come lui svariati psichiatri – è dell’opinione che Romand sia sempre stato preda di un disturbo narcisistico. Anche in galera, non ha fatto altro che sostituire un personaggio, quello del rinomato ricercatore, con un altro: quello del penitente, convertito alla religione, che aiuta gli altri detenuti a trovare una dimensione, e che si pone verso gli altri come un modello di espiazione e umiltà cristiana. Il senso della realtà è ancora molto lontano dal suo essere.

Dalla vicenda sono stati tratti due film. Uno ricalca fedelmente il libro, e come il libro si intitola. E’ interpretato da Daniel Auteuil, che ha sicuramente la faccia e il carattere giusti per la parte.

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L’altra pellicola si intitola “A tempo pieno” in italiano, ma trovo che il titolo francese sia più calzante: “L’emploi du temps” è il termine che indica se un impiego è a tempo pieno o a part-time, ma letteralmente significa “l’utilizzo del tempo” (e infatti uno dei problemi del protagonista, Vincent, è come riempire le sue vuote giornate). Vincent è sicuramente preda di una angoscia esistenziale mai veramente risolta. Sposato e padre di tre figli, perde il lavoro ma finge con la famiglia di essersene procurato uno migliore. Anche lui si fa affidare somme di denaro da parenti e amici “per guadagnare un po’ di tempo”, ma la finzione dura solo pochi mesi. Alla fine (una fine assai meno tragica della vicenda originale) rientrerà nei binari, ma – si capisce molto bene – senza avere effettivamente risolto i suoi problemi di fondo. 

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Per altri articoli sui Serial killer si rimanda alla pagina Cinema.

26 ottobre 2017