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Questo film del 2014, diretto dall’esordiente Alex Garland, ha vinto l’Oscar (meritato) per gli effetti speciali. Tuttavia il suo fascino risiede altrove, e la statuetta più consona ai suoi meriti sarebbe stata quella per la miglior sceneggiatura, alla quale era candidato.

Infatti, ad onta degli effetti veramente efficaci, questa pellicola è incentrata sui dialoghi, sul sottile gioco di parole tra i protagonisti.

Caleb è un giovane programmatore che lavora per una società proprietaria di un famoso motore di ricerca. Il fondatore è Nathan, che ha inventato l’algoritmo di ricerca ed è un mito nel mondo dell’informatica.

Caleb vince un premio ambito e molto insolito: raggiungerà Nathan nella sua remota, lussuosissima residenza collocata in mezzo ad una natura selvaggia e stupefacente, raggiungibile solo con l’elicottero. Lì passerà un periodo di tempo col fondatore della società per cui lavora.

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Nathan stabilisce col suo giovane sottoposto un rapporto all’apparenza molto chiaro: è stato scelto tra tantissimi suoi colleghi per far parte di un esperimento sull’intelligenza artificiale (IA), un progetto al quale Nathan sta lavorando da tempo e che ha ora bisogno di un “tester” esterno. In effetti, Nathan gli comunica che tutta la residenza è un enorme laboratorio, dove conduce personalmente le sue ricerche. Naturalmente Caleb è intrigato da una proposta così eccitante e innovativa.

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Resta però annichilito quando si rende conto del livello di progresso che Nathan ha raggiunto: l’IA che deve testare è un umanoide femminile di nome Ava, in grado di ragionare, perfettamente consapevole di chi/cosa è, e dell’ambiente circostante.
Il compito di Caleb sarà di sottoporre Ava al “test di Turing”. Va aperta a questo punto una parentesi per spiegare di che si tratta, dato che tutto il film gli ruota intorno.

Cos’è il test di Turing
Nel 1950 il matematico Alan Turing propose un test, da lui chiamato “gioco dell’imitazione”, e utilizzato anche oggi, il cui scopo è di verificare se una macchina sia in grado di pensare, nel senso che noi diamo al pensiero umano.
Il test coinvolge tre persone: un uomo (A), una donna (B), e un terzo individuo (C).
C deve indovinare, ponendo una serie di domande, il sesso di A e B. Ma, a insaputa di C, A dovrà cercare di ingannarlo, mentre B tenterà di aiutarlo a risolvere il quesito. Le risposte alle domande dovranno essere dattiloscritte, per evitare che la grafia e la voce possano indirizzare C.
Ci si può domandare cosa c’entri l’IA in tutto ciò. Ebbene, Turing ipotizzò che se ad A si sostituisse una macchina, e dopo tale sostituzione C non si accorgesse di nulla, allora la macchina dovrebbe essere considerata intelligente quanto un essere umano. Secondo Turing, le macchine sarebbero state in grado di superare il test nel 2050.

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Alan Turing (1912-1954)

La spiegazione è necessaria, perché Nathan comunica a Caleb che il test di Turing si svolgerà a viso aperto, un dialogo fra lui ed Ava: si sente infatti così sicuro di sè da contare sulla capacità di Ava, non di “fingere di essere”, ma di “essere” davvero.

Le sessioni di test iniziano in una stanza-laboratorio dedicata, ad accesso severamente controllato dal sofisticatissimo sistema di sicurezza che sovraintende a tutta l’enorme magione.

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A quel punto la vicenda prende pieghe inaspettate, che non cito per non rovinare la visione a chi ancora non conosca il film. Basti dire che non tutto è come sembra, e il plot non si limita al rapporto tra Caleb e Ava (che non per caso è stata creata nelle sembianze di una bella ragazza). Diversi colpi di scena spiazzanti, e alcuni disturbanti, cambiano più di una volta le dinamiche tra i protagonisti.

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…inoltre, perché Nathan è così spesso ubriaco?
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…e qual è il ruolo di Kyoko, l’amante-geisha-cameriera di Nathan?

Ex machina è un film affascinante e di taglio decisamente gotico, a dispetto dell’ambientazione e del sottofondo ipertecnologico.

Ci sono tutti i temi classici della fantascienza incentrata sugli esseri artificiali: il complesso de “la bella e la bestia”, la creatura che sfugge al controllo del creatore, il classico monito “vi sono cose dove è bene che l’uomo non si intrometta”.
Da molte parti si è criticato il finale (anzi, la sequela di finali), reputato debole e poco convincente. Io l’ho invece trovato estremamente adatto allo sviluppo della trama.
Le immagini conclusive sono il degno coronamento dell’ambiguità che permea tutto il film, e foriere di un inquietante futuro dove le macchine – ormai a immagine e somiglianza dell’uomo – potrebbero dall’uomo non essere più distinguibili.

Per altri articoli sugli esseri artificiali si rimanda alla pagina Cinema.

giphy

16 febbraio 2018