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Robin Knox-Johnston al suo arrivo vittorioso a Falmouth, il 22 aprile 1969.

Su Robert “Robin” Knox-Johnston si sono già versati fiumi di inchiostro. Tra le molte imprese velistiche che lo videro protagonista, spicca senz’altro su tutte la vittoria nella Golden Globe Race che il quotidiano Sunday Times – sull’onda della sensazione provocata dall’impresa di Francis Chichester l’anno prima – aveva istituito nel 1968 per chi avesse per primo circumnavigato il globo in solitario e senza scali di alcun genere (nemmeno tecnici, come era successo a Chichester che aveva dovuto fermarsi a Sydney a causa di un guasto).

Knox-Johnston, allora 29enne, riuscì nell’impresa partendo da Falmouth, Cornovaglia, il 14 giugno 1968, e ritornandovi il 22 aprile 1969, dopo 313 giorni di navigazione. Il grande velista partì senza sponsor, senza altro supporto che il suo due alberi Suhaili, un 10 metri che egli stesso aveva preparato per la durissima prova. La sua strepitosa vittoria fu però condita da alcuni strascichi amari.

Il suo più diretto rivale nella competizione, Bernard Moitessier, stabilmente in testa e con la vittoria già in tasca, decise di non potere o voler fronteggiare l’impatto mediatico del suo trionfo. La folla, i giornalisti, la notorietà: troppo, per un uomo già portato all’introspezione, e per di più con alle spalle svariati mesi di assoluta solitudine a tu per tu con le forze della natura. Moitessier girò metaforicamente sui tacchi e proseguì nel suo solitario viaggio verso Tahiti, incurante anche della famiglia che lo attendeva in Francia. (leggi di più nell’articolo Il velista vagabondo: Bernard Moitessier )

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Bernard Moitessier nel 1968.

La vicenda umana di Donald Crowhurst, in competizione per il primato di velocità nella gara, è assai più penosa. Nel tentativo di salvare se stesso e la famiglia dal tracollo finanziario, e a sua volta fortemente impattato dalla estrema solitudine dell’impresa, Crowhurst perse di vista ogni sano valore di riferimento. Cercò di frodare, rimase vittima della sua stessa macchinazione, e in preda al suo personale delirio risolse di scomparire per sempre.
In tale circostanza, Knox-Johnston si comportò da valido essere umano, oltre che da vero signore: donò l’intero premio della competizione alla famiglia di Crowhurst, moglie e tre figli ormai rimasti senza risorse: cinquemila sterline, che all’epoca erano una somma ragguardevole.

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Donald Crowhurst e il suo trimarano “Teignmouth Electron” poco prima la partenza per la Golden Globe Race.

Non mancarono i risvolti comici: all’arrivo a Falmouth, circondato da imbarcazioni di ogni tipo e dimensione che lo accoglievano a sirene spiegate, e da migliaia di sostenitori che lo inneggiavano da terra, Knox-Johnston ricevette a bordo la doverosa visita dei funzionari della dogana di Sua Maestà. I quali, a metà fra un comprensibile imbarazzo e l’inflessibile imperturbabilità britannica, gli chiesero come da protocollo: “Provenienza?”

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Robin Knox-Johnston, al suo vittorioso arrivo a Falmouth.

La storica vicenda della Golden Globe Race è trattata in modo esemplare nel bel film-documentario “Deep Water”, del quale consiglio la visione.
Knox-Johnston è uno dei narratori, e in tutti i suoi interventi traspare l’umiltà verso la natura, e la consapevolezza dei propri limiti, che solo chi ha compiuto grandi imprese può avere.

“Credo” dice Knox-Johnston nel documentario “che ci fossero delle somiglianze tra noi e gli astronauti, che allora iniziavano le loro esplorazioni. Eravamo entrambi in viaggio intorno al mondo su minuscole capsule. Era molto pericoloso. Chiunque va per mare e dice di non avere paura, mente. Certo che si ha paura.”

Riguardo a Cape Horn: “Cape Horn è qualcosa che rimane fisso nella tua mente. Una volta che hai girato intorno a Cape Horn, puoi dirigerti verso nord, e uscire da quel bastardo di un posto. Perché è un posto bastardo. Cerca di immaginarti a bordo di qualcosa delle dimensioni di un furgoncino, e verso di te avanza un edificio di 12 piani. Quella è la dimensione delle onde laggiù.”

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Robin Knox-Johnston nel film-documentario “Deep Water”.

A 79 anni, dopo aver compiuto innumerevoli altre imprese veliche, oggi Knox-Johnston ancora va per mare, a tu per tu con la natura che definì “un’amante che non perdona, che ha sempre pronto un asso nella manica quando meno te lo aspetti”.

Nel 2017, questa leggenda della vela ha restaurato con le sue mani Suhaili, la barca che lo portò alla vittoria cinquant’anni prima. In questo articolo, la storia del due alberi e del suo recupero http://www.giornaledellavela.com/news/2017/01/03/rinasce-suhaili-mitico-10-metri-vinse-primo-giro-del-mondo-vela/

Sir Robin Knox-Johnston onboard his Open 60 yacht, Grey Power ahead of the start of the Route du Rhum.

Riferimenti:

per altri articoli correlati vedi la pagina Vela & Mare

Luisa Fezzardini, 7 ottobre 2018