Un altro film del filone che negli anni ’60 dello scorso secolo delineava conseguenze apocalittiche dovute all’uso dissennato delle armi nucleari (un altro è L’ultima spiaggia)

Anche in questo caso il titolo originale “Fail-Safe” è più azzeccato e folgorante, non tanto perché la traduzione italiana non sia adeguata, ma per la qualità intrinseca della lingua inglese di sintetizzare in una parola un concetto, una situazione, un sistema: “Fail-Safe” è un termine usato in molti campi, da quello elettronico a quello meccanico, e identifica un meccanismo di sicurezza che scatta in caso di pericolo o danno per evitare ulteriori disastri. In questo caso il meccanismo scatta per errore, e con conseguenze spaventose, a causa di un imprevedibile malfunzionamento.

Il regista Sidney Lumet aveva già dato prova di saper dirigere con competenza film drammatici e tesi fino allo spasimo con il suo famoso (e più volte copiato) “La parola ai giurati” del 1957. Anche per questa pellicola volle Henry Fonda come protagonista nella parte del Presidente USA, insieme a una serie di efficacissimi comprimari, inclusi:

– un giovanissimo Larry Hagman (che molti anni più tardi avrebbe raggiunto la notorietà come il cattivissimo JR nella soap “Dallas”) nella parte del traduttore americano-russo; il presidente gli chiede di non limitarsi a tradurre, ma di cercare di percepire le emozioni, gli stati d’animo del premier sovietico dall’altra parte del telefono;

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un amaro, lucido, detestabile Walter Matthau, consulente del Pentagono, che il plot suggerisce avere un passato di vittima della persecuzione nazista, e ha per questo sviluppato una aggressività che sfocia nel cinismo più asettico e brutale sulle conseguenze di un conflitto totale;

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il bravissimo Dan O’Herlihy nel ruolo del generale Black, che si sforza invano di portare moderazione e ragionevolezza nel panico generale che segue agli incontrollabili eventi.

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Il plot

un gruppo di bombardieri americani armati con ordigni nucleari riceve per errore l’istruzione di attaccare e distruggere Mosca.

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Il sistema di sicurezza che sovraintende i mezzi è concepito per non permettere contrordini dettati da situazioni di costrizione o da reazioni emotive. Neppure il presidente può più fermare i bombardieri. Egli si mette immediatamente in comunicazione col premier sovietico, informandolo della situazione.

A sua volta, il premier sovietico – che, dopo molte esitazioni, finalmente crede alle parole del presidente USA – deve combattere con le molte resistenze, anche violente, del suo entourage, che è convinto che si tratti di una manovra statunitense per attaccare l’Unione Sovietica. Lumet enfatizza il dramma racchiudendo il dialogo fra i due leader nell’angusto spazio di una stanza di sicurezza, bianca e asettica, dove sono presenti solo il presidente USA, il traduttore, e un telefono.

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Anche le altre location sono spazi chiusi, dove l’angoscia si moltiplica e rimbalza, amplificandosi da uno all’altro dei protagonisti: la stanza di comando delle forze armate, dove si segue con ansia l’inesorabile volo dei bombardieri…

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…e le stesse cabine di pilotaggio degli aerei, piccole e claustrofobiche.

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Per convincere l’URSS a non contrattaccare, il presidente USA invita il nemico ad eliminare i bombardieri, arrivando a dare loro le segretissime informazioni tecniche e di sicurezza necessarie all’abbattimento.

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Il che, naturalmente, crea tremendi conflitti e rifiuto nel personale militare USA, costretto a svelare al nemico dati così sensibili.

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Alla fine tutti gli aerei vengono neutralizzati tranne uno. Il bombardiere residuo riesce a schivare tutti i tentativi di abbatterlo e si dirige verso Mosca senza altri ostacoli sulla via.

Per scongiurare un olocausto nucleare, il presidente USA – conscio di come i suoi cittadini e la storia lo giudicheranno per la sua tremenda decisione – offre un sacrificio per un sacrificio, una città per una città: se Mosca verrà dissolta nell’esplosione nucleare, un bombardiere USA, armato nell’identico modo, sgancerà la sua bomba su New York. Solo in tal modo l’equilibrio atomico fra le due super-potenze potrà essere ristabilito.

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Nelle concitate, drammatiche battute finali, il paventato evento si avvera: Mosca viene colpita e annientata. In conformità all’impegno preso, un aereo statunitense prende quindi il volo per la sua missione di morte, pilotato dallo stesso generale Black. Il generale obbedisce, anche se la moglie e i figli sono proprio a New York e destinati perciò a perire. Giusto in ultimo trova soluzione al suo incubo ricorrente, che lo perseguitava da diverse notti: la scena di una corrida dove non riusciva mai a vedere il volto del matador. Solo pochi secondi prima di morire vede quel volto, ed è il suo.

L’ultima sequenza riprende varie scene di vita quotidiana a New York, interrotte bruscamente dall’esplosione nucleare (vedi il video più sotto).

Il terribile monito finale è più che chiaro: allo spettatore non resta che fissare i titoli di coda, accompagnati dagli “olè” della folla che segue la corrida nel premonitore incubo del generale Black. L’ovvia riflessione è se resterebbe qualcuno a gridare i suoi vani olè nella spaventosa corrida con cui le grandi potenze si contendono il primato nucleare.

Per altri film disperati vai alla pagina Cinema.

Luisa Fezzardini, 22 ottobre 2019