Vi sono alcune serie poliziesche made in UK che trovo interessanti per due motivi principali. Il primo è che costituiscono un salutare contraltare, un ottimo antidoto a quelle serie gialle statunitensi dove i protagonisti maschili sono immancabilmente dei duri che menano volentieri le mani, con alle spalle passati difficili e perlopiù oscuri ma che vengono svelati a piccole dosi nel corso delle varie puntate: hanno ucciso per errore un compagno, oppure hanno visto la famiglia sterminata da un serial killer che non sono riusciti a catturare, spesso si sono poi dati all’alcolismo o al gioco d’azzardo; tutte cosette così. Le protagoniste femminili invece (poliziotte a loro volta, o coroner, o procuratori distrettuali) sono spesso supervamp che vanno in giro per servizio con magliette aderenti e superscollate e tacchi da 12 (con cui fanno pure inseguimenti), e non hanno timore di puciare qualche ciocca dei fluenti capelli nel sangue del cadavere sul quale si chinano per i rilevamenti.
…tipo Melina Kanakaredes di C.S.I.
Come il bravo Gary Sinise (ve lo ricordate? il tenente Dan di Forrest Gump, il comandante dell’Apollo 13 nell’omonimo film) sia finito a fare paccottiglia simile, resta per me un mistero. Ma gli esempi non si contano, da “Bones”, a “The Closer” (questa serie poi ha una protagonista di rara antipatia) e il suo spin-off “Major Crimes”.
Il secondo motivo è che le serie britanniche di cui parlo, pur molto diverse tra loro, hanno però alcuni tratti in comune che trovo intriganti: ovvero, una malinconia di fondo, una certa ineluttabilità negli eventi, dove i protagonisti sono persone comuni, spesso con una vita normale o addirittura mediocre, che si trovano a compiere gesti più grandi di loro quasi senza rendersene conto. Un contesto credibile e realistico, ma – forse proprio per questo – spesso abbastanza squallido. Alla fine non ci sono eroi o cattivi, vincitori o sconfitti: il sipario cala su una vicenda umana, prima ancora che su un mistero poliziesco, e spesso si prova per i colpevoli una empatia che ce li fa sentire fin troppo vicini. Comincio con
Vera
La protagonista di questa serie è Vera Stanhope, ispettore di polizia in una fittizia contea del nord-est dell’Inghilterra, ai confini con la Scozia. L’attrice che interpreta la serie è la bravissima Brenda Blethyn, che ho molto apprezzato in “London River” e “Segreti e bugie”, e che aveva in precedenza sfoderato una divertente vena umoristica in “L’erba di Grace”.
Vera non ha proprio niente delle sue super-colleghe statunitensi: è di mezza età, mal portata, e non fa niente per nasconderlo; è goffa, malvestita, trascurata, e ha un carattere tutt’altro che facile. Ha però alcune qualità impagabili: un acume investigativo di prim’ordine, corroborato da una enorme esperienza sia professionale che umana, e un animo profondamente compassionevole, che le consentono spesso di capire persone e situazioni al di là di quello che mostrano le apparenze.
Nonostante l’approccio ruvido e scostante, ha con il suo team un ottimo rapporto, e ad onta degli scontri quasi giornalieri è chiaro che tutti i suoi sottoposti si farebbero in quattro per lei (specie Joe, il suo braccio destro).
Gli omicidi di cui la serie ci narra sono quasi sempre collocati nelle periferie della contea, fra lavoratori che faticano a sbarcare il lunario, casalinghe sfiorite che cercano di mandare avanti la famiglia nonostante tutto, giovani che cercano con tutti i mezzi un futuro migliore di quello dei genitori. Le vicende e i finali sono tra i più diversi, ma anche quando la conclusione non è tutto sommato tra le più negative, vi è sempre un sottofondo di rassegnazione e tristezza. Ma in fondo, viene da pensare, forse la vita è proprio così.
E visto che con Vera siamo quasi in Scozia, andiamoci direttamente e passiamo a
Shetland
Questa serie è ambientata appunto nelle isole Shetland, dove indagano l’ispettore Jimmy Perez e la sua squadra investigativa. Il protagonista è interpretato da Douglas Henshall, che scozzese lo è davvero. Il personaggio ha un curioso cognome spagnoleggiante, di cui è lui stesso a dare spiegazione in una delle puntate: un suo lontano antenato era uno degli spagnoli della Invincibile Armata, che scampò al naufragio e restò nelle isole.

Jimmy Perez è vedovo, vive ancora nel ricordo dell’amata moglie, e – nonostante diversi tentativi di altre relazioni, alcuni molto coinvolgenti – alla fine rimane sempre solo. Ha una figlia acquisita, Cassie, frutto del precedente matrimonio della defunta moglie. Per lui è come e più di una figlia sua, e ne condivide la tutela col padre biologico Duncan, con cui è in ottimi rapporti.
Le vicende poliziesche si dipanano in queste isole scozzesi, di scabra ma grandissima bellezza, e sono sempre tutt’altro che semplici, specie a causa del carattere chiuso e diffidente degli abitanti.
Il team di Perez è composto principalmente da Tosha, soprannome per Alison McIntosh, interpretata da Alison O’Donnell, e Sandy Wilson, interpretato da Steven Robertson (entrambi gli attori sono a loro volta scozzesi).
La peculiarità delle vicende narrate in questa serie è che quasi sempre gli investigatori e gli investigati si conoscono da prima: né potrebbe essere altrimenti in una società così chiusa e per di più collocata su isole, quindi già di per sè isolata dal resto della Scozia (che chiamano “la terraferma”), nazione a sua volta connotata da diversi forti elementi di diversità rispetto al resto del Regno Unito.
Anche in questo caso il finale è quasi sempre una triste presa di coscienza che qualcuno, che gli investigatori credevano di conoscere da sempre e di cui si fidavano, si è in realtà macchiato di un crimine estremo.
L’ispettore Gently
Questa serie si discosta completamente dalle due precedenti. La ragione principale è che tratta vicende collocate negli anni ’60, un periodo che specie nel Regno Unito segnò un epocale punto di svolta nelle abitudini, nel modo di vestire e di vivere. Negli anni ’60 si sono avute le prime avvisaglie di emancipazione femminile, i primi grandi scioperi collettivi, i primi chiari sintomi di disagio sociale e rottura dell’organizzazione in classi che dal regno della regina Vittoria aveva caratterizzato il tessuto connettivo del Regno.
George Gently si trova a fronteggiare un mondo che cambia quasi giorno per giorno, e dove i crimini hanno motivazioni e radici che spesso sfuggono alla comprensione proprio perché generati da condizioni di contorno mutate troppo in fretta: la chiusura delle miniere e l’esodo in massa dalle campagne alle grandi città, per citarne alcuni. Nei primi episodi vige ancora la pena di morte per impiccagione, abolita solo nel 1965, e l’omosessualità è ancora un reato.
Gently è un uomo di vecchio stampo, ma grazie alla sua grande umanità e pazienza riesce quasi sempre a venire a capo di vicende che spesso sono lontane dal suo essere e dal suo sentire. Lo affianca il giovane sergente John Bacchus, irruente e un po’ arrogante: spesso in contrasto col suo capo, che tuttavia ammira moltissimo, è – nonostante sia ben più giovane di Gently – spesso preda di pregiudizi.
Anche Gently è vedovo, la moglie uccisa durante un attentato probabilmente diretto a lui: la caccia al colpevole riaffora a tratti nelle indagini dell’ispettore, che non riesce a farsi una ragione della vicenda.
Caso raro, la serie si conclude con la morte del protagonista, lasciando tutti con l’amaro in bocca, spettatori compresi.
Una serie comunque interessante, con protagonisti molto realistici e attori veramente in parte, anche i comprimari.
Luisa Fezzardini, 6 marzo 2020
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