Tra gli articoli dedicati alle pellicole dove le chiavi giocano un ruolo, merita uno spazio questo film di Gianni Amelio del 2004, con protagonista Kim Rossi Stuart, tratto dal libro autobiografico di Giovanni Pontiggia “Nati due volte”. Per gli altri film sull’argomento, vedi “Le chiavi del cinema” nella pagina Cinema .

La trama, in estrema sintesi: Gianni ha perso l’amata compagna, morta nel dare alla luce il figlio Paolo, che è affetto da un handicap neuromotorio. Per dolore e rifiuto ha abbandonato il bambino, cresciuto dagli zii, ma dopo quindici anni decide di incontrarlo e di portarlo a Berlino per seguire delle terapie specifiche per la sua patologia.

In un certo senso è un film “on the road”, ma la strada non è solo fisica: è anche e soprattutto un viaggio nella reciproca conoscenza tra un padre e un figlio, un adulto e un adolescente, un uomo sano e un ragazzo con un handicap che lo induce spesso a comportamenti che non è facile capire né accettare.

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Anche la scelta di Berlino come luogo di arrivo del viaggio è altamente simbolica del rapporto fra i due: una città che è stata distrutta e poi ricostruita, inizialmente divisa da un muro ma poi riunificata.

Ed è a Berlino che si svolge gran parte della vicenda, dove Gianni incontra una matura mamma (Charlotte Rampling) di una bambina a sua volta afflitta da un problema neuromotorio. Sarà la donna ad aiutare Gianni a capire che il prendersi finalmente cura del figlio comporta una enorme responsabilità, e che dovrà trovare dentro di sè la forza e la dignità necessari per amare qualcuno che non offre certezze, che potrebbe non ricambiare l’amore nel modo che di solito ci si aspetta (“Mi sembrava che lei si vergognasse di suo figlio” gli dice a un certo punto).

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Il film è sicuramente valido, ma per una serie di motivi non convince completamente: a causa di lacune narrative, di alcune scene troppo enfatizzate, di un Rossi Stuart non del tutto in parte. E’ il giovane co-protagonista Paolo (Andrea Rossi, che soffre davvero di un handicap) a risultare genuino e spontaneo, e a dare a questo film l’acqua della vita.

Infine, il perché del titolo: le chiavi di casa per Paolo rappresentano la sua fiera dichiarazione di indipendenza, e allo stesso tempo uno strumento di autodifesa. E alla fine il padre, che così a lungo lo ha rifiutato, dovrà trovare le chiavi (metaforiche) che aprono la casa del suo cuore.

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Luisa Fezzardini, 11 maggio 2020