Fosco Maraini è stato tante cose, ma è principalmente ricordato come fotografo. Nacque a Firenze nel 1912 da un padre scultore e da una madre anglo-ungherese, e con origini simili non poteva che sviluppare uno spiccato senso artistico e una altrettanto spiccata curiosità intellettuale.

Affascinato dall’Estremo Oriente, si imbarcò 22enne sull’Amerigo Vespucci, la celebre nave-scuola della Marina Militare, in qualità di insegnante di inglese.

Seguirono il matrimonio con una pittrice siciliana di nobile famiglia (dalla quale ebbe tre figlie, tra cui la scrittrice Dacia) e la laurea in Scienze Naturali e Antropologiche. Iniziò quindi la sua continua peregrinazione in terre esotiche, e va tenuto conto che all’epoca si trattava di viaggi ben più avventurosi e pericolosi che non oggi: Tibet, Giappone (dove venne internato con tutta la famiglia per ben due anni per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò – ricordiamoci che all’epoca il Giappone era alleato di Germania e Italia) e – finita la guerra – ancora Tibet, Israele, di nuovo il Giappone e la Corea. Fu insegnante di lingua e letteratura giapponese all’Università di Firenze e uno dei massimi esperti di cultura delle popolazioni Ainu del Nord del Giappone. Maraini è stato anche ricercatore al St Antony’s College di Oxford e alle università di Sapporo e di Kyoto.

Famosi i suoi reportage fotografici in Tibet e in Giappone. Fotografò le catene del Karakorum e dell’Hindu Kush, l’Asia centrale e l’Italia in generale. Provetto alpinista, scalò più volte le Dolomiti e le vette pakistane, delle quali ci ha lasciato immagini memorabili.

Della sua sterminata produzione fotografica ho scelto questa immagine, scattata ad Ercolano nel 1955. Una foto che può apparire modesta, rispetto ad altre ben più esotiche che compongono i suoi tanti album. Eppure, in un frammento solo, c’è un mondo: il negozio di Coloniali, un genere che oggi non esiste più; la ragazza in attesa con le scarpe scalcagnate (allora c’era un paio di scarpe per tutti i giorni, e basta!) ma che si appoggia allo stipite con un atteggiamento naturalmente elegante, che mi fa pensare che le belle statuine di Capodimonte con le loro posture in apparenza leziose, in realtà non fanno che riprodurre l’innata gestualità partenopea.

Luisa Fezzardini, 13 luglio 2022