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All that Fezz

Cinema, fotografia, musica, e altro ancora

“Uno strano film”

“È uno strano film, il più difficile che ho immaginato finora. La dolce vita andrebbe proiettato tutto insieme, in una sola enorme inquadratura. Non pretende di denunciare, né di tirare le somme, né di perorare l’una o l’altra causa. Mette il termometro a un mondo malato, che evidentemente ha la febbre. Ma se il mercurio segna quaranta gradi all’inizio del film, ne segna quaranta anche alla fine. Tutto è immutato. La dolce vita continua. I personaggi dell’affresco continuano a muoversi, a spogliarsi, ad azzannarsi, a ballare, a bere, come se aspettassero qualcosa. Che cosa aspettano? E chi lo sa? Un miracolo, forse. Oppure la guerra, i dischi volanti, i marziani.”

Federico Fellini

Il 20 maggio 1960 “La dolce vita” conquista la Palma d’oro al festival di Cannes.

Testimone d’accusa

Witness for the Prosecution, 1957, di Billy Wilder, è tratto da un racconto della prolifica Agatha Christie, poi diventato una fortunata pièce teatrale.

Come in altri film di Wilder (La fiamma del peccato, Viale del tramonto) la vicenda inizia in medias res, su quell’ideale set che è l’aula di un tribunale inglese: il delitto è già avvenuto e siamo al processo. Gli eventi vengono ricostruiti a forza di flashback, altro artifizio narrativo caro a Wilder.

I punti di forza del film sono molti: il grande sir Charles Laughton, l’avvocato della difesa, che grandeggia sullo schermo e nella vicenda, puntualmente contrappuntato dalla sua querula infermiera, interpretata da Elsa Manchester. I due erano marito e moglie fuori dallo schermo, e i loro impagabili battibecchi, di schietto humour britannico, bastano da soli a giustificare la visione.

E poi c’è lei, Marlene, col suo sguardo disincantato da donna che molto ha vissuto.

È il personaggio con cui Wilder si diverte di più a costruire travestitismi allusivi e rovesciamenti della convenzione: straniera, quindi giudicata con sospetto dalla maggior parte dei britannici, conservatori di natura; di indubbia ma ambigua bellezza; così poco melodrammatica – ergo, femminile – durante il processo ma così sostanzialmente vera con tutte le sue calcolate menzogne.

Una curiosità: per girare una scena apposita per mostrare le sue celebri gambe, la produzione andò in extra-costo.

Il protagonista maschile, Tyrone Power, benché in parte, è forse l’elemento più anonimo della vicenda. In origine per il ruolo erano stati interpellati diversi attori: anzitutto William Holden, che con Wilder sette anni prima aveva girato Viale del tramonto; poi Kirk Douglas, Roger Moore, Jack Lemmon, Glenn Ford e Gene Kelly. A mio parere ognuno di loro avrebbe potuto risultare convincente al pari di Power (anche se mi sarebbe piaciuto vedere cosa avrebbe ricavato dal ruolo Lemmon, un attore con una importante vena drammatica spesso sottovalutata).

Infine, ma certo non meno importante, il plot: uno dei più riusciti e convincenti di Dame Christie, al punto che alla fine della pellicola un avviso al pubblico chiedeva di non svelare il finale a chi ancora non aveva visto il film.

Nel complesso, un film molto hitchcockiano, e difatti lo stesso Hitch confidò a Wilder che molti pensavano l’avesse girato lui: al che l’arguto Wilder confessò a sua volta a Hitchcock che diversi fan erano convinti che fosse lui il regista de Il caso Paradine. Schermaglie fra giganti…

Luisa Fezzardini, 3 febbraio 2023

Zorbas

“Ogni uomo ha una sua idea di paradiso. Per me è un posto pieno di libri e damigiane d’inchiostro.” (Nikos Kazantzakis, Zorba il greco). Nella foto Anthony Quinn, protagonista dell’omonimo film del 1964, mentre balla il Sirtaki a Stavros, sull’isola di Creta.

Luisa Fezzardini, 2 febbraio 2023 (nostalgia delle Grecia)

Il figlio di Saul

Se dovessi scegliere un film per ricordare questa Giornata della Memoria, sarebbe questo. Non è molto noto in Italia, quantomeno non l’ho mai visto passare come altri ben più famosi, forse più elegiaci e patinati ma a mio parere meno efficaci, come “Schindler’s List” o “Il Pianista” (e men che meno “La vita è bella”, che personalmente trovo persino oltraggioso; se volete sapere perché, ne ho scritto qui https://allthatfezz.blog/2019/12/06/la-vita-non-e-bella-ebbene-no-a-me-non-piace/ ).

Ne “Il figlio di Saul” il punto di vista è quello di Saul, appunto, che fa parte dei Sonderkommando di Auschwitz, ovvero i “gruppi scelti” di ebrei che aiutavano nello smaltimento (termine orrendo, ma l’unico appropriato alla situazione) delle vittime. In cambio, i componenti di questi Kommando godevano di qualche privilegio, ma ogni pochi mesi venivano a loro volta uccisi, per ovvi motivi.

Di questi Sonderkommando Primo Levi scrisse: “Aver concepito ed organizzato i Sonderkommandos è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo. … Attraverso questa istituzione, si tentava di spostare su altri, e precisamente sulle vittime, il peso della colpa, talché, a loro sollievo, non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti.”

Dopo qualche mese nel Sonderkommando, Saul sembra non fare quasi più caso all’abominio nel quale è immerso, sino a quando riconosce, o crede di riconoscere (di questo il film non dà certezza) il figlio in uno dei cadaveri. Saul si aggrappa alla fisicità di quel corpo in modo viscerale, vuole ossessivamente dargli una sepoltura religiosa e a tale scopo cerca fra i prigionieri un rabbino. Sullo sfondo, l’inferno sulla terra, che il regista riprende con una scelta decisamente insolita: un unico obiettivo e un formato ristretto, che non allarga il campo visivo; le scene degli sventurati che, privati di tutto, vengono uccisi nelle camere a gas (terribile la litania con cui li convincono: “Dopo la doccia vi verrà servito il tè caldo”) sono volutamente sfocate e riprese come sfondo di altre azioni, e forse per questo sono ancora più tremende: è una routine che si ripete, è come vedere degli operai che quasi nemmeno si accorgono della catena di montaggio alla quale lavorano. Niente scene commoventi in questo film, niente musiche da Oscar che fanno venire il magone.

Di contro, nemmeno si vedono scene particolarmente impressionanti: l’orrore è palpabile in ogni fotogramma ma non è mutuato da efferatezze o violenze varie. La visione è tuttavia impegnativa, forse perché richiede una immersione totale in un mondo alieno, quello che Primo Levi seppe così ben descrivere dicendo che in lager le situazioni, gli eventi, financo le persone che lo popolavano, sarebbero state impensabili al di fuori di lì. Il film dà conto anche del tentativo di rivolta dei prigionieri del 1944, di cui ancora oggi pochi sanno.

Luisa Fezzardini, 27 gennaio 2023, Giornata della Memoria

Liz e Monty

Liz Taylor e Montgomery Clift in una pausa delle riprese di “Un posto al sole” (1950).

I due erano grandi amici fuori dal set e la Taylor non fece mai mancare il suo appoggio al tormentato Clift, imponendo la sua partecipazione in diversi film (uno per tutti: “Improvvisamente, l’estate scorsa”) dopo che il gravissimo incidente d’auto del 1956 ne deturpò il viso ma soprattutto ne aggravò la già fragile psiche, minata dalla non accettazione della propria omosessualità. A seguito di questi eventi, nessuna casa di produzione era disposta a far recitare Clift, se la Taylor non si fosse avvalsa della sua posizione per farlo ingaggiare.

Non è molto noto che fu la Taylor stessa a giungere tra i primi sul luogo dell’incidente, dato che Clift se ne era da poco andato da una festa proprio a casa di lei. Sempre lei lo salvò dalla morte per soffocamento con rara presenza di spirito, estraendogli con le dita due denti che gli si erano conficcati in gola a seguito dell’urto.

Luisa Fezzardini, 10 gennaio 2023

Today is Christmas

𝘊𝘰𝘳𝘰: Happy Birthday to you, Happy Birthday to you, Happy Birthday, dear Jesus, Happy Birthday to you.

𝘚𝘦𝘳𝘨𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘏𝘢𝘳𝘵𝘮𝘢𝘯: Today… is Christmas. There will be a magic show at 09.30. Chaplain Charlie will tell you about how the free world will conquer Communism with the aid of God and a few marines.

God has a hard-on for marines because we kill everything we see. He plays his games, we play ours. To show our appreciation for so much power, we keep heaven packed with fresh souls.

God was here before the Marine Corps. So you can give your heart to Jesus, but your ass belongs to the Corps. Do you ladies understand?

𝘙𝘦𝘤𝘭𝘶𝘵𝘦: Sir, yes, Sir!

𝘚𝘦𝘳𝘨𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘏𝘢𝘳𝘵𝘮𝘢𝘯: I can’t hear you!

𝘙𝘦𝘤𝘭𝘶𝘵𝘦: Sir, yes, Sir!

25 𝘥𝘪𝘤𝘦𝘮𝘣𝘳𝘦 2022, 𝘓𝘶𝘪𝘴𝘢 𝘍𝘦𝘻𝘻𝘢𝘳𝘥𝘪𝘯𝘪

17 novembre, Giornata del Gatto Nero

1953, casting di gatti neri per la partecipazione ad un film horror.

Luisa Fezzardini, 17 novembre 2022

Cimiteri & Co.

nell’immagine: Arnold Böcklin, L’Isola dei Morti.

Sarà perché è novembre, ma mi è venuta voglia di scrivere un articolo su un argomento non precisamente ilare, ma in tono col periodo. Troppo facile gettarsi nelle vischiose trappole dei film horror che trattano di zombie e affini, perciò mi butto su un diverso argine dell’argomento.

Il cane di Lovecraft

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The Runaway

The Runaway (1958) è una delle numerose tavole che il pittore e illustratore statunitense Norman Rockwell ha realizzato per le copertine del The Saturday Evening Post.

È un classico esempio dello stile e dei temi che hanno reso Rockwell famoso: frammenti di vita della provincia USA negli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, positivi e consolatori, incentrati su scene familiari e su una società fondata su sani principi morali.

Nonostante la sua attività abbia coinciso con gravi eventi (la seconda guerra mondiale, tanto per citarne uno), Rockwell ha sempre accuratamente evitato scene drammatiche e violente e i grandi temi etici (razzismo, discriminazione, povertà) concentrandosi sull’America dei buoni sentimenti e delle piccole storie quotidiane.

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