Se dovessi scegliere un film per ricordare questa Giornata della Memoria, sarebbe questo. Non è molto noto in Italia, quantomeno non l’ho mai visto passare come altri ben più famosi, forse più elegiaci e patinati ma a mio parere meno efficaci, come “Schindler’s List” o “Il Pianista” (e men che meno “La vita è bella”, che personalmente trovo persino oltraggioso; se volete sapere perché, ne ho scritto qui https://allthatfezz.blog/2019/12/06/la-vita-non-e-bella-ebbene-no-a-me-non-piace/ ).

Ne “Il figlio di Saul” il punto di vista è quello di Saul, appunto, che fa parte dei Sonderkommando di Auschwitz, ovvero i “gruppi scelti” di ebrei che aiutavano nello smaltimento (termine orrendo, ma l’unico appropriato alla situazione) delle vittime. In cambio, i componenti di questi Kommando godevano di qualche privilegio, ma ogni pochi mesi venivano a loro volta uccisi, per ovvi motivi.

Di questi Sonderkommando Primo Levi scrisse: “Aver concepito ed organizzato i Sonderkommandos è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo. … Attraverso questa istituzione, si tentava di spostare su altri, e precisamente sulle vittime, il peso della colpa, talché, a loro sollievo, non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti.”

Dopo qualche mese nel Sonderkommando, Saul sembra non fare quasi più caso all’abominio nel quale è immerso, sino a quando riconosce, o crede di riconoscere (di questo il film non dà certezza) il figlio in uno dei cadaveri. Saul si aggrappa alla fisicità di quel corpo in modo viscerale, vuole ossessivamente dargli una sepoltura religiosa e a tale scopo cerca fra i prigionieri un rabbino. Sullo sfondo, l’inferno sulla terra, che il regista riprende con una scelta decisamente insolita: un unico obiettivo e un formato ristretto, che non allarga il campo visivo; le scene degli sventurati che, privati di tutto, vengono uccisi nelle camere a gas (terribile la litania con cui li convincono: “Dopo la doccia vi verrà servito il tè caldo”) sono volutamente sfocate e riprese come sfondo di altre azioni, e forse per questo sono ancora più tremende: è una routine che si ripete, è come vedere degli operai che quasi nemmeno si accorgono della catena di montaggio alla quale lavorano. Niente scene commoventi in questo film, niente musiche da Oscar che fanno venire il magone.

Di contro, nemmeno si vedono scene particolarmente impressionanti: l’orrore è palpabile in ogni fotogramma ma non è mutuato da efferatezze o violenze varie. La visione è tuttavia impegnativa, forse perché richiede una immersione totale in un mondo alieno, quello che Primo Levi seppe così ben descrivere dicendo che in lager le situazioni, gli eventi, financo le persone che lo popolavano, sarebbero state impensabili al di fuori di lì. Il film dà conto anche del tentativo di rivolta dei prigionieri del 1944, di cui ancora oggi pochi sanno.

Luisa Fezzardini, 27 gennaio 2023, Giornata della Memoria