Nel giro di due giorni ho sperimentato due situazioni molto simili. Non è la prima volta che mi capita qualcosa del genere, e – ahimè – certamente non sarà l’ultima.
Situazione numero uno: mercato settimanale all’aperto. Mi avvicino ad una bancarella, e dico “buongiorno” (chiaro segno che ho qualcosa da chiedere / voglio comprare / in ogni caso, potrei essere una potenziale cliente). Il mio saluto si schianta contro la totale cecità e sordità del titolare, che continua imperterrito a pasticciare con lo smartphone. E’ un uomo sulla sessantina, non certo uno di quei ragazzini che spesso vengono accusati di comportamenti simili. Dopo qualche secondo di inutile attesa, me ne vado seccata. Trovo inverosimile che in un ambiente altamente competitivo come un mercato all’aperto, dove decine di bancarelle espongono più o meno gli stessi articoli, un esercente si permetta il lusso di ignorarmi (non di ignorare me in quanto individuo, ma in veste di probabile acquirente).
Situazione numero due: il giorno dopo. Entro in un negozio di telefonia per acquistare una scheda di memoria. Il titolare, di età imprecisata tra i 40 e i 50 anni, è impegnato in una chat Whatsapp. Mi dà retta e mi risponde, ma inframmezza la conversazione con la sua (a quanto pare) irrinunciabile chat. Si alza, prende la scheda richiesta, la apre, la installa, insomma fa tutto quello che deve, ma senza mollare lo smartphone, digitando freneticamente con una mano sola (ma come fa?) le risposte all’invisibile, quanto per lui evidentemente vitale, interlocutore. Stavolta non me ne vado, perché di quella scheda ho davvero bisogno, e non posso mettermi a vagare per trovare un altro negozio dove l’addetto non sia impegnato in qualche attività analoga, anche perché temo che fallirei miseramente.
Aggiungo una situazione numero tre, stavolta datata 2016: Roma, sono a cena fuori con un amico (al quale ho di recente ricordato il fatto, che anche a lui è rimasto singolarmente impresso). I nostri vicini di tavolo sono due colleghi di lavoro, oppure un fornitore col suo cliente. Sta di fatto che uno dei due ha fattezze orientali, l’altro è romano. Il romano ha probabilmente cercato di portare il collega (o il cliente) in un posto un po’ carino e tipico. Fatica vana. L’orientale ha spostato il piatto, e per tutto il tempo lavora con laptop e tablet. Il suo ospite finisce per cenare virtualmente da solo, nel senso che l’orientale ingolla ogni tanto qualche forchettata delle varie portate, ma palesemente senza dare la minima importanza al cibo, o al fatto di avere di fronte un essere umano che vive, respira, e guarda caso l’ha pure invitato a cena. Il mio amico ed io commentiamo sottovoce (per non mortificare ulterioremente il povero romano), ma cercando di trovare un razionale all’assurda situazione (“mah, sarà giapponese… loro fanno così” anche se in realtà nessuno dei due sa esattamente come si comporti un giapponese in viaggio di lavoro, e senza contare che il tizio in questione magari è vietnamita o coreano o americano di discendenza asiatica).
In vena di strafare, aggiungo la situazione numero quattro, che non ho bisogno di circostanziare perché la noto immancabilmente ogni volta che esco: coppie o gruppi di amici che sono a cena, o a farsi un aperitivo, o più semplicemente un caffè, che in magnifico isolamento continuano a digitare follemente sulla tastierina del loro mezzo (smartphone o tablet che sia). Naturalmente, la domanda che sorge spontanea è: ma se hai tante cose da dire a quella o quelle persone, perché non sei invece uscito con loro? l’altrettanto ovvia risposta, è che in tal caso le varie chat si sarebbero svolte con quelli che hanno di fianco e di fronte in quel momento.
Tralascio la spaventosa maleducazione insita in tutti i comportamenti che ho descritto. Le avvisaglie già c’erano. Ben prima dell’epoca degli smartphone, vi sarà capitato di essere a colloquio con qualcuno, e al vostro interlocutore è arrivata una telefonata. Non una volta ho notato che alla telefonata non si rispondesse, interrompendo così la conversazione in corso. Ma perché mai una telefonata ha la priorità rispetto a qualunque cosa si stia facendo di persona? Non ho una risposta, ma è più che evidente che questo tipo di comportamento non ha fatto che amplificarsi nel tempo, fino a raggiungere livelli veramente preoccupanti.
Ma cosa si scrive questa benedetta gente tutto il santo giorno? Sono tutti argomenti così vitali e irrinunciabili da avere la precedenza su qualunque interazione umana? E – domanda per me ancora più interessante – quando i due interlocutori finalmente si incontrano di persona (dovrà ben succedere, prima o poi) parlano fitto fitto per ore? verrebbe da credere di sì. Ma temo che invece si ignorino, per ingaggiare una chat con qualcun altro (ognuno per suo conto, chiaro).
In Cina (che una volta sembrava essere solo la fonte di detti di Confucio, e invece ultimamente ci allarma con i suoi livelli di inquinamento da record e con comportamenti da alieni) ci sono ormai marciapiedi riservati a chi digita sul telefonino. Se sei di quelli, infili la corsia riservata, e hai la ragionevole speranza di non essere urtato o investito. Finiremo così? Temo che da noi però non funzionerebbe. Poco disciplinati come siamo, si dovrebbe presto coniare il nuovo reato di “investimento di pedone che sta digitando sullo smarphone”.
Chiudo con due aforismi sull’argomento che mi sono piaciuti.
Il primo: “Se Platone tornasse sulla Terra, e doveste spiegargli in che consiste uno smartphone, cosa gli direste? Risposta: ‘Ho in tasca un mezzo che mi connette istantaneamente a tutto lo scibile umano. Lo uso per postare foto di gatti e litigare con perfetti sconosciuti’ “.
Il secondo è questa foto, che mi è piaciuta perché in sano e fiero contrasto con le tante, troppe, foto e video – appunto con gattini e cuoricini – che imperversano in rete.
Luisa Fezzardini, 4 novembre 2017
4 novembre 2017 at 14:45
Ma davvero esistono le corsie riservate a chi digita al cellulare? 😁😁 pazzesco!
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4 novembre 2017 at 15:43
Eh si… avevo pensato alla solita bufala, ma davanti alle tante foto mi sono dovuta arrendere all’evidenza.
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4 novembre 2017 at 15:56
Confermo. Era uno mezzo cinese, mezzo giapponese… boh io nun ce capisco gnente.
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